“Take a knee” è il gesto che ultimamente sta facendo non poco dibattere in ambito sportivo e non solo. Sì perché la storia degli atleti che si inginocchiano, durante il proprio inno nazionale, trova le sue radici in contesti politico-sociali che vanno ben oltre il mero ambito sportivo.
L’esordio di questo gesto risale al 2016, durante una partita di football americano, quando era in atto una protesta per le strade per denunciare il fatto che un poliziotto avesse sparato e ucciso un ragazzo afroamericano, tra l’altro disarmato. Di conseguenza all’accaduto, alcuni giocatori ebbero l’idea di inginocchiarsi durante l’inno degli States, dando vita al nome del gesto “take a knee” (“inginocchiati”). Il primo in assoluto fu Colin Kaepernick, giocatore dei San Francisco 49ers, che sentiva il bisogno di denunciare la sfrenata violenza della polizia contro gli afroamericani e i relativi abusi di potere. Di lì a poco anche altri giocatori aderirono all’iniziativa, spinti ancor di più dai fatti di Charlottesville, dove una donna morì investita da un’auto che si era lanciata verso la folla in protesta contro il corteo dei suprematisti bianchi (coloro che affermano la supremazia della razza ariana). In aggiunta, nel 2017, Donald Trump ordinò alle società sportive di “licenziare” tutti gli atleti che erano soliti inginocchiarsi durante l’inno americano. Questo non fece che alimentare la rabbia e la frustrazione di molti sportivi, così che il gesto dilagò, coinvolgendo atleti di altri sport, come Nba (LeBron James, Stephen Curry, Kobe Bryant) o baseball e uscendo dai confini americani. Lo stesso anno infatti, i Golden State Warriors, vittoriosi nel campionato Nba, rifiutarono di partecipare ai festeggiamenti dei campioni d’America alla Casa Bianca, il tutto con la massima solidarietà della dirigenza e degli allenatori bianchi.
Ora questo gesto è diffuso in quasi tutto il mondo e rappresenta una dimostrazione di solidarietà verso chi, in questi anni e nei prossimi, ha subito e subirà abusi di potere e atteggiamenti discriminatori ingiustificati. La morte di George Floyd, tra l’altro avvenuta in maniera molto simile al “take a knee”, ha ridato vigore a questo gesto che si è poi definitivamente diffuso anche nel mondo del calcio. Donnarumma, Bonucci, Bastoni, Jorginho, Verratti sono i giocatori attorno ai qualche qualche settimana fa sono state mosse critiche, per il fatto di non essersi inginocchiati durante l’inno nazionale. Il problema risiede nel fatto che non per tutti viene considerato un gesto fondamentale o comunque sentito sinceramente, o potrebbe esser stato frutto di una semplice dimenticanza da parte di questi giocatori. Infatti i francesi, che inizialmente avevano aderito tutti alla protesta, successivamente, per qualche ragione, non hanno eseguito il rito. Le polemiche sono continuate dilagando sui social, da parte soprattutto di tutti quei promotori del “politicamente corretto” che però non fanno che alimentare un atteggiamento dittatoriale, ognuno è libero di aderire o meno a qualsiasi tipo di protesta anche perché nessuna squadra ha obbligato i propri giocatori a inginocchiarsi. Inoltre la Uefa ha sempre dimostrato severità nei confronti di ogni tipo di atteggiamento politico in campo, anche se in questo caso è stata sicuramente più tollerante data la portata, ancora molto grande, del problema legato al razzismo. Durante l’Europeo, gli atteggiamenti dei giocatori dalle varie nazionali, sono stati differenti. Ad esempio l’Inghilterra continua ad inginocchiarsi in tutte le partite, la Croazia il contrario e, come affermato dalla propria federazione: “La Federcalcio croata e la nazionale croata condannano fermamente ogni forma di discriminazione. Rispettiamo anche il diritto di ogni individuo e di ogni organizzazione di scegliere le circostanze e il modo in cui prenderanno posizione contro il razzismo e/o altre forme di discriminazione”.
In Italia i pareri sono divisi e sembra non si riesca a trovare un punto di incontro tra le due interpretazioni di questo rito. Di recente, ospite a La7, Enrico Letta si è espresso riguardo a questo, invitando la nazionale azzurra ad inginocchiarsi nel match contro il Belgio, e così è stato. Dopo il match contro il Galles dove solo cinque giocatori hanno aderito all’iniziativa e gli ottavi contro l’Austria dove sono rimasti tutti in piedi, gli atleti della nazionale azzurra hanno finalmente adottato una linea comune. La richiesta di Letta ha però trovato l’opposizione di Matteo Salvini, il quale lo ha invitato a lasciare i giocatori fuori da fatti politici. Dopo numerosi dibattiti in Tv, radio, giornali e specialmente sui social, il presidente della FIGC, Gabriele Gravina, era infatti intervenuto in favore della libertà di adesione al “take a knee”. Data la confusione rispetto a questa situazione, si è dunque presa la decisione di adottare una soluzione univoca, per evitare ulteriori dibattiti su chi o meno abbia adottato un comportamento corretto.
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