L’8 gennaio scorso le forze di difesa aerea iraniane hanno per sbaglio abbattuto il Boeing 737 dell’Ukraine International Airlines, colpendolo con due missili dopo alcuni minuti dal suo decollo dall’aeroporto di Teheran e provocando la morte di 176 persone, tra passeggeri, piloti e assistenti di volo. I vertici militari iraniani hanno inizialmente tentato di negare la propria responsabilità e di insabbiare il contenuto delle scatole nere a bordo dell’aereo, ma successivamente, a causa delle forti pressioni provenienti dall’estero e delle tensioni scoppiate all’interno del paese stesso, con addirittura alcune indiscrezioni circa le minacce di dimissioni da parte del Presidente iraniano Hassan Rouhani se non si fosse rivelata la verità, hanno dovuto fare un passo indietro e riconoscere le proprie colpe.
Dunque, secondo le ultime ricostruzioni, il Boeing 737 sarebbe stato tragicamente scambiato per un aereo nemico, il che avrebbe spinto le forze di difesa a lanciare i missili, causandone l’esplosione e la caduta.
Come abbiamo già ricordato, l’ammissione da parte delle forze militari della propria responsabilità non è stata immediata, e ciò ha causato l’indignazione di tre giornaliste iraniane, le quali hanno comunicato di non poter più contribuire alla disinformazione del paese e di sentire di conseguenza l’obbligo morale di abbandonare una volta per tutte il mondo dei media.
Le tre giornaliste in questione, Gelare Jabbari, Zahra Khatami e Saba Rad, hanno dunque preso la coraggiosa decisione di presentare le proprie dimissioni, denunciando con questo plateale gesto la triste situazione in cui versa da tempo il popolo iraniano, privato di uno dei diritti fondamentali che dovrebbero stare alla base di una democrazia, ossia il diritto all’informazione, sia attiva che passiva.
Appare infatti importante ribadire che il diritto all’informazione non potrà ritenersi mai rispettato a pieno fino a quando non verrà tutelata la possibilità sia di ricevere, sia di diffondere le notizie in maniera libera da pressioni e condizionamenti esterni.
Inoltre, anche l’Associazione dei Giornalisti Iraniani ha puntato il dito contro la crisi che stanno affrontando i media ufficiali del paese, affermando che ciò che è attualmente in corso sia un vero e proprio “funerale della fiducia pubblica” nei mezzi di informazione dell’Iran.
A testimonianza di queste dichiarazioni, non possiamo esimerci dal ricordare che il caso del Boeing abbattuto è solo l’ultimo, in ordine di tempo, a mettere a nudo le ingiustizie con cui i giornalisti iraniani devono convivere quotidianamente.
Una delle vicende giudiziarie che ha maggiormente scaldato la sensibilità del popolo risale all’anno scorso, quando la giornalista Marzieh Amiri, reporter per il giornale Shargh, fu condannata ad oltre dieci anni di reclusione e ben 148 frustate per collusione contro la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico e di propaganda contro lo Stato. La colpa di cui si era macchiata? Marzieh Amiri aveva seguito, nello svolgimento del suo lavoro, una manifestazione di protesta di lavoratori e studenti tenutasi il primo maggio.
Per quanto la strada verso il pieno riconoscimento del diritto all’informazione in Iran sembri lunga e a tratti interminabile, le dimissioni di Gelare, Zahra e Saba possono sicuramente contribuire a muovere qualche passo in avanti, con la consapevolezza che troppo spesso, anche lontano dall’Iran e in paesi riconosciuti come ampiamente democratici, l’ambiente giornalistico è soggetto ad influenze esterne, le quali inevitabilmente minano la genuinità delle notizie fornite ai cittadini.
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