E’ stato evidente da subito che in seguito all’elezione di una figura controversa come quella di Donald Trump in qualità di 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, dopo ben 8 anni di governo dell’amministrazione Obama, sarebbero cambiate molte cose sul territorio statunitense soprattutto se si prendono in considerazione le tantissime promesse fatte da Trump nel corso della sua campagna elettorale e che senza dubbio hanno contribuito a farlo eleggere come nuova guida del paese. Nelle ultime settimane ha suscitato molte polemiche la scelta di firmare un ordine esecutivo con il quale il neo-Presidente ha di fatto bloccato l’arrivo di persone da Iran, Iraq, Somalia, Yemen, Sudan, Libia e Siria, per un totale di 90 giorni in modo da raccogliere ulteriori informazioni sulle singole persone prima di consentire l’accesso al paese. Questa scelta ha tuttavia generato molte polemiche in tutto il mondo e dopo l’opposizione da parte di un giudice dello stato di Washington che ha bloccato momentaneamente il provvedimento, adesso sono i principali colossi della Silicon Valley ad essere scesi in campo, intraprendendo un’azione legale contro il decreto firmato da Trump.
L’interesse che da subito ha dimostrato gran parte della Silicon Valley che ha generato molte critiche nei confronti della scelta del Presidente ha spinto le principali figure di spicco dei colossi tecnologici statunitensi a rilasciare dichiarazioni contrarie al cosiddetto “muslim ban”. Adesso però queste aziende hanno deciso di unirsi in modo da prendere un serio provvedimento dimostrando ancora una volta di essere contrari a questa decisione, e per farlo hanno depositato un documento presso un tribunale della California.
Il documento risulta piuttosto interessante perchè raccoglie le firme di ben 97 aziende della Silicon Valley tra cui spiccano colossi del calibro di Apple, Google, Facebook, Twitter, LinkedIn, Dropbox, Microsoft, Intel, eBay, PayPal e ancora Netflix, Spotify, AirBnb e molte altre. Nella lista, tuttavia, mancano due nomi di spicco. Il primo è il colosso delle vendite online Amazon. Jeff Bezos nei giorni scorsi ha criticato il decreto firmato dal Presidente con una email inviata ai suoi dipendenti, ma nonostante questo sembra aver deciso di non partecipare all’azione legale. Manca, inoltre, Tesla Motors, il cui CEO Elon Musk è parte del comitato consultivo scelto dallo stesso Trump, lo stesso comitato da cui nei giorni scorsi ha deciso di dimettersi Travis Kalanick, CEO di Uber, in seguito alle molte critiche che lo hanno investito e che hanno rischiato di ripercuotersi sull’azienda da lui guidata.
La preoccupazione che ha spinto queste aziende della Silicon Valley ad intraprendere un’azione legale deriva innanzitutto dal fatto che impedire a persone che arrivano da determinati paesi di entrare negli USA prendendo in considerazione solo il paese da cui provengono e la religione è da considerare come una discriminazione contraria ai principi degli Stati Uniti. Da qui anche la forte preoccupazione per un futuro in cui sarebbe sempre più difficile assumere i migliori talenti provenienti da ogni parte del mondo, principio su cui si basa gran parte delle attività svolte da aziende come Google, Apple, Microsoft e così via. Sarà interessante scoprire come evolverà la situazione e quale sarà la reazione del Presidente Donald Trump.
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