L’Argentina non è certo nota per la sua solidità finanziaria, difatti ha già dichiarato default otto volte nella sua storia. Più di qualsiasi altro paese al mondo. Nel 1992 è diventata nota per aver deliberatamente cambiato valuta nazionale per evitare di ripagare il debito che aveva accomulato.
Eppure il debito pubblico argentino non è assolutamente preoccupante a prima vista, ammonta a, proporzionalmente, circa la metà di quello italiano, circa il 68% contro il quasi 140% del Pil, che probabilmente raggiungerà il 160% alla fine dell’emergenza.
Eppure, nonostante sia assolutamente riconosciuta la possibilità concreta di un’imminente recessione, nessuno pensa davvero che l’Italia possa fallire. Una ragione può essere l’idea che il nostro paese sia too big to fail, troppo grande per fallire. Un termine nato in riferimento alle grandi banche americane negli anni precedenti alla crisi del 2008.
Per quanto si possano predire tempi duri, cosa assolutamente probabile, l’ipotesi di un fallimento è sostanzialmente uno spauracchio che non trova chance di diventare realtà, dato il peso sostanziale dell’Italia sull’economia mercato che, checché se ne dica, è comunque la terza potenza produttiva d’Europa e l’ottava del mondo.
Lo stesso non si può però dire per l’Argentina che ha sì un ruolo sistemico in Sud America ma è abituata alle crisi economiche. Soprattutto va considerato che il debito pubblico non costituisce nella sostanza un problema se il tasso di interesse sullo stesso è inferiore alla crescita del PIL.
Sono questi i due grandi totem dell’economia moderna. Tasso di interesse, ossia il “rendimento” di cui tanto si è parlato nei giorni scorsi in merito dell’inaspettato successo dell’asta dei titoli del tesoro, e tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo. Se il primo è minore del secondo significa che ci si sta indebitando ad un ritmo più basso rispetto a quanto ci si sta arricchendo.
Semplificando, se questa condizione fosse vera anche in Argentina il paese sudamericano sarebbe in grado tranquillamente di ripagare il suo debito. Purtroppo però fin dalla crisi del 2008 in Argentina la crescita economica si è del tutto arrestata. Anzi ha fatto peggio, è sempre e soltanto in negativo.
Vuol dire che gli argentini nonostante il debito contratto si stanno impoverendo, questo gli rende impossibile restituire il denaro preso in prestito. E qui arriva il famoso default, ossia quando un paese è insolvente, non è in grado di restituire il denaro preso dai creditori e deve dichiarare bancarotta.
Sostanzialmente per l’Argentina scomparirà l’obbligo di restituire quel denaro ma sarà allo stesso tempo estremamente più difficile reperire i soldi che servono per l’eventuale debito futuro. Da tenere a mente che nessuno dei paesi sviluppati ha un debito pubblico basso, quindi se l’Argentina vuole risollevarsi economicamente non può che passare che da dei creditori, di nuovo.
Ma il costo del debito, ossia il tasso di interesse, argentino si sta alzando alle stelle, poiché adesso gli investitori, spaventati dal rischio di un nuovo default più avanti, vogliono maggiore remunerazione per il loro rischio. Nel caso dell’Argentina il costo del debito sta assumendo proporzioni imbarazzanti e altrettanto preoccupanti. Difatti un altro fattore che incide sul costo del debito è l’inflazione.
In Argentina l’inflazione, ossia l’aumento del livello dei prezzi si sta aggirando intorno al 40% quest’anno, il che significa che sempre gli investitori, per recuperare questa erosione del valore del loro denaro, chiedono almeno il 40% per gli investimenti a lungo termine. Per la precisione chiedono il 46,95% per i prestiti che scadranno tra 4 anni e il 54,35 su quelli a un anno.
Valori leggermente più incoraggianti, ma non potrebbe essere altrimenti, sui titoli che scadono tra 6 mesi, con tassi di interesse sotto il 30%. L’Argentina oggi ha superato la data massima per alcuni pagamenti, da stamattina risulta insolvente per la restituzione di alcuni prestiti, di fatto entra in una fase di default che non può che aggravare il costo del debito.
Un’ipotesi che prende piedi in Argentina è quella del default parziale, ossia dichiararsi insolventi solo riguardo a certe quote del debito e contrattare nuovi tassi di interesse con gli investitori. Il problema è che il principale di loro, il colosso del settore finanziario Blackrock, principale gruppo di investimento del mondo, ha già annunciato di non averne intenzione.
Quindi un default almeno della maggior parte del debito sembra assolutamente inevitabile. Tempi duri aspettano l’economia argentina.
Fonte: Il Sole 24 Ore
Approfondimento titoli di stato, quantitative easing, tasso di interesse: La Ragnatela News
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