Nabeel Rajab, celebre attivista del Bahrain, è stato scarcerato dopo circa quattro anni di prigionia grazie ad un provvedimento delle autorità del paese. Condannato per aver attaccato sui social network la durezza dei trattamenti riservati agli oppositori politici da parte del re Hamad bin Isa al Khalifa, Rajab avrebbe terminato di scontare la sua pena soltanto nel 2023.
La scarcerazione avvenuta qualche giorno fa è il traguardo di un percorso iniziato almeno due anni fa, quando molte organizzazioni non governative volte alla tutela dei diritti umani, quali per esempio “Amnesty International” e “Human Rights Watch”, avevano focalizzato la propria attenzione su questo fatto e avevano denunciato l’illegalità della condanna.
A posizionarsi lungo lo stesso solco sono state anche le Nazioni Unite, le quali hanno dichiarato la privazione della libertà del signor Nabeel Rajab arbitraria e dunque illegittima.
Nonostante Nabeel possa finalmente tornare a riabbracciare i propri cari, la situazione riguardante il rispetto dei diritti umani in Bahrain è ancora complessivamente troppo infelice per poter esultare a pieno per la notizia in parola.
Tuttora infatti le prigioni dello Stato asiatico sono ancora colme di attivisti e oppositori politici, i quali si vedono pertanto privati quotidianamente delle più basilari ed elementari libertà dell’essere umano, su tutte la libertà di opinione e di espressione.
Sono ormai molti anni che nel paese ricorrono con estrema frequenza manifestazioni e proteste da parte della popolazione, soprattutto da quella sciita, atte ad ottenere nuove riforme di carattere sociale, economico e costituzionale, puntando così a compiere passi in avanti verso il miglioramento delle condizioni di vita delle persone e verso la conquista dei diritti civili.
L’inizio di questi movimenti viene generalmente ricondotto al 14 febbraio 2011, data in cui scoppiò la cosiddetta “Rivolta delle Perle”. In occasione di tale sommossa, gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine non si fecero di certo attendere, con i dati ufficiali che riportano circa 200 feriti e tre morti.
Proprio su questa scia dunque si collocano le aspre reazioni dello Stato nei confronti degli oppositori politici, essendo forte il timore del monarca che la crescente insubordinazione del popolo possa condurre delle modifiche in direzione democratica nel corpo dell’ordinamento giuridico ed istituzionale del Bahrain.
Pertanto, avendo delineato per grosse linee quello che è il contesto all’interno del quale gli attivisti di questo paese si muovono e agiscono, appare essenziale che la morsa delle organizzazioni internazionali non venga allentata proprio adesso.
Al contrario, è necessario profondere quanto più impegno possibile affinchè il lieto fine del caso Rajab non rimanga un fatto isolato, così da garantire a tutti gli altri detenuti politici un’immediata liberazione.
Soltanto partendo da queste premesse sarà infatti possibile proseguire il tragitto verso le nuove frontiere civili e sociali da tanto agognate dal popolo e per le quali i tempi appaiono ormai maturi.
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