I Rohingya sono un gruppo etnico di religione musulmana che risiedono prevalentemente in Myanmar, paese del Sudest asiatico anche noto come Birmania. I Rohingya sono in patria considerati di razza bengalese e per questo motivo non viene riconosciuta loro la cittadinanza birmanica. Pertanto, essi non hanno alcuna libertà di movimento all’interno del paese e sono ormai da tempo costretti a vivere praticamente ghettizzati in fatiscenti campi sovraffollati situati ai margini della città di Sittwe.
Tuttavia, a partire dal 2017, la situazione è drasticamente peggiorata. Sempre più numerosi atti di violenza sono stati compiuti nei confronti degli esponenti di questo gruppo etnico, senza minimamente distinguere tra adulti e bambini. Secondo alcune stime, dall’inizio degli scontri si conterebbero diverse centinaia di morti e feriti. Di conseguenza, sono tre anni che tantissimi Rohingya decidono di cercare rifugio nel confinante Bangladesh.
Questa diaspora però, come è facilmente intuibile, non migliora granchè la situazione del popolo Rohingya. Infatti, il Bangladesh non è di per sé uno stato ricco e florido, dunque non riesce ad assicurare condizioni di vita dignitose ai rifugiati. Questi ultimi si trovano così ancora recintati ed ammucchiati in campi di accoglienza in cui mancano quasi sempre acqua, luce e posti letto.
Lo scenario descritto è sconcertante ed una soluzione a questo dramma sembra tuttora lontana e difficile da trovare. Nonostante ciò, un paio di settimane fa è stata annunciata una notizia così tanto positiva che concede alla gente Rohingya di tornare a sorridere e a sperare in un futuro finalmente migliore.
Lo scorso 28 gennaio infatti, il Ministro degli Esteri del Bangladesh Masud Bin Momen ha presentato ai media un programma, sostenuto anche dall’Unicef, grazie al quale i bambini rifugiati Rohingya potranno studiare fino ai 14 anni. I ragazzi che non rientrano in quel limite di età avranno comunque il diritto di accedere a determinati corsi di formazione.
Questa iniziativa non nasce ovviamente di punto in bianco. L’ONG “Amnesty International” aveva difatti già da tempo richiesto a Sheilh Hasina, la Prima Ministra del governo bengalese, di riconoscere ai bambini rifugiati il diritto all’istruzione.
Il progetto coinvolgerà nei primi periodi soltanto circa 10000 ragazzi, con l’auspicio che potrà essere presto esteso a tutti gli altri interessati.
La novità annunciata da Masud Bin Momen è, superfluo ribadirlo, una svolta decisiva per il destino della gente Rohingya. La possibilità di frequentare gli studi sarà il primo fondamentale passo lungo la strada che dovrà portare questo popolo al raggiungimento della dignità individuale e sociale. L’istruzione permetterà alle nuove generazioni di trovare lavoro e ciò favorirà di certo la loro integrazione nel tessuto sociale del Bangladesh.
Concludiamo con le parole recitate dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che all’articolo 26 sancisce il diritto allo studio: «Ognuno ha diritto ad un’istruzione. L’istruzione dovrebbe essere gratuita, almeno a livelli elementari e fondamentali. L’istruzione elementare dovrebbe essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale, dovrebbero essere generalmente fruibili, così come pure un’istruzione superiore dovrebbe essere accessibile sulle basi del merito.»
Nonostante il diritto all’istruzione sia quindi annovarato tra i diritti fondamentali ed inalienabili della persona, non possiamo non constatare come ancora oggi la possibilità di studiare sia, in alcune zone del pianeta, un privilegio per nulla scontato.
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