“Contact tracing” in inglese significa “tracciamento dei contatti” ed è una delle strategie che l’Organizzazione mondiale della sanità ritiene possa essere utile per contenere il dilagarsi del Covid-19. In cosa consiste? Test a tappeto, mappatura dei movimenti di chiunque risulti positivo, identificazione ed isolamento delle persone con cui sono venute a contatto. La Corea del Sud ha adottato un modus operandi in base al quale oltre ai dati sanitari, sono state diffuse immagini delle telecamere di sicurezza, transazioni delle carte di credito, posizioni rilevate dagli smartphone e una app che segnala i luoghi indicati dai soggetti a rischio.
Alla luce di ciò viene, però, spontaneo domandarsi quale sia il confine, soprattutto se in tal modo sia stato superato, tra le misure adottate al fine di combattere la pandemia e la tutela del diritto alla protezione dei dati personali.
Secondo chi vive in Corea del Sud, lì il concetto della privacy è in generale un concetto atratto, ed ecco spiegato il motivo per cui in quella Nazione tale procedura non ha destato particolari problematiche. Nel nostro Paese, però, come nel resto dell’Europa bisogna fare i conti con la tutela di un altro diritto, ossia quello alla protezione dei dati personali, il quale è un diritto fondamentale dell’individuo ai sensi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 8), oggi tutelato, in particolare, dal Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, oltre che da vari altri atti normativi italiani e internazionali e dal Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196), adeguato alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679 tramite il Decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101.
Per operare una sintesi, il diritto in questione estende la tutela dell’individuo oltre la sfera della vita privata e in particolare nelle relazioni sociali, garantendo l’autodeterminazione decisionale e il controllo sulla circolazione dei propri dati eliminando ogni ingerenza altrui.
Resta da dire che in base all’art.9 del Gdpr (Eu General Data Protection Regulation 2016/679) un trattamento straordinario dei dati può essere effettuato, se necessario, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità, ed ovviamente in una guerra fra titani, ossia il diritto alla salute ed il diritto alla protezione dei dati personali, vincerebbe ad occhi chiusi il primo.
Bisogna, dunque, arrivare a tutto ciò? Bisogna comprimere un ulteriore diritto fondamentale dell’individuo? oltre al diritto alla libera circolazione, la cui limitazione però, accettiamo di buon grado consci del fatto che sia l’unica arma a disposizione per vincere questa battaglia. Non sarebbe, invece, più saggio adempiere alle direttive dateci dal Governo, fare squadra, e preservare così facendo tutti i nostri diritti?
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