Avevamo spiegato, nell’articolo riguardo il voto di fiducia, come l’eventualità delle dimissioni del premier Conte fosse un’ipotesi assolutamente plausibile, al netto della fievole maggioranza conquistata da quest’ultimo al voto in Senato. Dopo le vicissitudini dei giorni passati in cui aveva iniziato a rimbalzare per la prima volta la notizia, questa mattina Conte si è recato al Quirinale e ha rassegnato le proprie dimissioni, aprendo la strada delle consultazioni con i principali esponenti parlamentari.
Il contesto in cui arrivano queste dimissioni vede l’imminente, ormai tramontato, voto alla relazione sulla giustizia, che inevitabilmente si riferisce alla riforma targata Bonafede sulla prescrizione. Le previsioni, che presentavano una schiacciante sconfitta per la maggioranza, hanno convinto definitivamente il premier dell’impossibilità di governare con una maggioranza non solo esigua, ma anche decisamente labile, visto che il voto della scorsa settimana ha visto lo schierarsi, tra gli altri, dei senatori a vita, i quali usualmente non partecipano alle commissioni parlamentari.
Riguardo al voto alla giustizia, sono significative le parole del pentastellato Cancelleri, il quale afferma come “dire no alla riforma di Bonafede significa dire di no all’esecutivo”, dimostrando di ignorare esplicitamente la possibilità che anche il merito delle questioni venga valutato, favorendo il concentrarsi solamente sul colore politico dal quale le proposte vengono. Lo stesso Cancelleri, poi, all’alba della notizia delle dimissioni e della possibilità del suo ingresso in un’ipotetica nuova squadra di Governo, afferma come gli attuali ministri siano “tutti sacrificabili, anche Bonafede”.
La riforma sulla prescrizione approvata l’anno passato ha segnato un indiscusso passo indietro per la giustizia italiana in termini garantisti, con il solo Movimento 5 Stelle all’appoggio di quella che venne trattata da Cassese come l’esclavage de l’esprit, ovvero l’intrappolamento in un’idea, quella dello Stato feroce, da sovvertire, che aveva portato il partito alla gloria e che è stata rimpolpata dalla narrativa dello Stato che abusa degli istituti di giustizia che permettono di sottrarsi alla punibilità a proprio favore, garantendo impunità indebite.
È naturale che una riforma motivata da questioni di principio fondate su accuse infondate e supposizioni ai limiti del complottismo possa trovare poco sostegno dalle frange parlamentari da cui detta proposta non nasce.
Ad ogni modo, ora si apre il periodo delle consultazioni, che inizieranno con il M5S e proseguiranno con sino al 29 gennaio, nella speranza, per i membri del governo uscente, che l’apporto di Mattarella possa ricucire lo strappo con Renzi e far emergere i 10/15 senatori necessari a far nascere un Conte-ter. Ora occorrerà vedere se il problema fosse realmente Conte, o il contesto nel quale questi è stato collocato.
Il centrodestra, nel frattempo, ha escluso qualsiasi appoggio ad un eventuale nuovo governo presieduto da Conte, mentre M5S, PD e LeU sosterranno l’ex premier, da quanto emerge dalle prime notizie. Saranno le mute stanze del Quirinale a decretare la veridicità di tutto questo, mentre c’è curiosità anche per le intenzioni di Italia Viva, che ha prestato grande attenzione nel non precludere alcuna strada, nemmeno un Conte-ter.
Non ci resta che attendere.
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