In un articolo di qualche giorno fa avevamo trattato delle tristi vicende di Minneapolis riguardanti la drammatica morte di George Floyd, l’afroamericano ucciso da un agente di polizia durante le poco ortodosse procedure di arresto.
Quell’avvenimento ha aperto negli Stati Uniti delle ferite che erano state a fatica ricucite, riportando alla memoria altri omicidi e altre violenze perpetrati da pubblici ufficiali ai danni di diverse persone di colore, affiancando dunque il tema dell’abuso di potere a quello del razzismo.
Sono dunque ormai settimane che gli USA sono tormentati da feroci proteste, all’interno delle quali sono confluite tutte le tensioni pregresse cagionate dalla complicata convivenza tra le numerose razze ed etnie di cui l’America è composta.
A questo proposito, anche l’emergenza Coronavirus ha contribuito a sottolineare le enormi differenze intercorrenti tra i vari gruppi razziali. Dati ufficiali in mano, è facilmente riscontrabile infatti che la percentuale di contagi avvenuti all’interno delle comunità dei latinos e degli afroamericani è di gran lunga superiore a quella registrata nella popolazione dei bianchi.
Lungi ovviamente dal voler accostare le due situazioni e volerle ricondurre entrambe alla stessa matrice, è comunque chiaro che tutto ciò non fa altro che alimentare la sensazione di solitudine e abbandono che è ben presente nell’animo dei membri delle minoranze etniche.
Ed è proprio in momenti storici come questi che lo Stato dovrebbe scendere in campo per offrire il proprio sostegno a queste persone, sostegno che però risulta una chimera se i suoi rappresentanti, ossia le forze dell’ordine, vengono visti come parte integrante del problema e, quindi, nemici da sconfiggere.
Lungo questo solco si collocano dunque le voci che propugnano un cambiamento nella struttura dei dipartimenti di polizia, poiché questi ultimi da troppo tempo si sono rivelati inadeguati al mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza sociale.
Le proposte in materia sono prevalentemente ispirate dall’urlo “Defund the police”, letteralmente “Taglia i fondi alla polizia”. Il concetto di base ruota quindi attorno alla necessità di ridurre i finanziamenti governativi alle forze dell’ordine.
Come succede quasi sempre in questi casi i filoni di pensiero, seppur sorti nello stesso contesto, finiscono poi col discostarsi notevolmente l’uno dall’altro.
Infatti, tra coloro che agognano una riforma nell’assetto delle autorità di sicurezza, vi sono i più moderati che auspicano semplicemente un dirottamento di parte dei finanziamenti in progetti di rieducazione sociale del personale di polizia.
All’altro estremo si trovano invece quelli che spingono addirittura per l’abolizione dei dipartimenti di polizia, intendendo dunque affidare il controllo della pace sociale ad entità comunitarie (plausibilmente con privati in prima linea) i cui poteri, struttura e organizzazione dovrebbero essere di certo meglio definiti.
Appare prima facie palese come questa via sia irragionevole e non percorribile, poiché un’opzione del genere non potrebbe che aumentare un deciso incremento degli acquisti e dell’utilizzo delle armi da fuoco da parte dei cittadini, dal che conseguirebbe una tanto rapida quanto tragica escalation di violenza e criminalità.
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