Quando Vladimir Putin e i suoi collaboratori hanno deciso di intraprendere una cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina molti si aspettavano il silenzio da parte della società civile russa. Da sempre abituati all’oppressione del dissenso, prima sotto il regime comunista e poi sotto quello autarchico di Putin, i cittadini russi sanno da tempo che esprimere disapprovazione nei confronti delle mosse del Cremlino è pericoloso e può risultare in un arresto. Dal famoso gruppo che difendeva i diritti della comunità LGBTQ + “Pussy Riot” nei primi anni Duemila fino al più recente caso di Alexsej Navalny, sono tante le storie di chi ha provato a manifestare contro l’operato di Putin e non ha fatto una bella fine.
Proprio per questo molti osservatori internazionali non si aspettavano una risposta da parte della popolazione russa al conflitto ucraino ma si sono dovuti ricredere. Fin dall’inizio delle ostilità sono state organizzate molte manifestazioni contro la guerra nelle principali città russe, specialmente a San Pietroburgo. Uomini, donne, giovani ed anziani sono scesi in piazza per manifestare la propria contrarietà al conflitto e per mostrare solidarietà al popolo ucraino. Queste proteste sono tutto fuorché un bel segnale per il Cremlino dato che sembrano indicare che Putin abbia davvero deciso di agire per conto suo senza nemmeno godere dell’appoggio dei suoi stessi cittadini. Il leader russo sa quanto dannoso possano essere queste dimostrazioni di dissenso ed è corso ai ripari.
Da venerdì 4 marzo i cittadini sul territorio russo non possono accedere a Facebook, Twitter o Instagram. Inoltre il Cremlino ha fatto sapere che chiunque diffonda ‘fake news’ sulla guerra è punibile fino a un massimo di 15 anni di carcere. Questa censura rende l’organizzazione di larghi eventi e la coordinazione tra gli attivisti molto più difficile e serve a Putin per controllare l’opinione pubblica interna in un momento in cui tutto il mondo, o quasi, gli è ostile. Questa mossa arriva di pari passo con la decisione di chiudere in maniera definitiva i pochi giornali indipendenti che erano rimasti nella Federazione Russa. L’Eco di Mosca, il Vtimes e il Meduza sono tra gli ultimi giornali non controllati dal governo che hanno dovuto terminare la propria attività a causa dell’incessante pressione esercitata. Vladimir Putin sta dunque facendo tutto il possibile per reprimere il dissenso interno mentre in Ucraina si continua a combattere e al mondo sono davvero pochi quelli che credono alla narrativa della liberazione e della ‘denazificazione’ della Ucraina da parte dei russi. Lo spunto di riflessione con cui vorremo però lasciare i nostri lettori riguarda la sostenibilità nel medio-lungo periodo di politiche come questa. Riuscirà Putin a tenere a bada i suoi cittadini per sempre? Funzionerà ancora a lungo l’uso della violenza per silenziare gli oppositori? È davvero così facile nel 2022 chiudere l’accesso ai social network e sperare di poter chiudere la bocca a migliaia di cittadini? L’occidente resta a guardare mentre il popolo ucraino continua a difendersi e Putin sembra rimanere sempre più solo
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