Nella giornata di ieri, si sono consumati alcuni episodi che hanno messo al centro dell’attenzione il mondo del giornalismo. Da un lato, la richiesta scritta, avanzata dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Verna, di far rientrare la categoria nella lista di coloro che riceveranno il vaccino in via prioritaria e dall’altra, la corsa al titolone più allarmante alla quale hanno partecipato diversi quotidiani del nostro paese, in seguito alla notizia del blocco temporaneo e precauzionale di un lotto del vaccino AstraZeneca.
Queste due notizie impongono una riflessione sul ruolo del giornalista e dei media in generale, figure assolutamente vitali alla garanzia dei diritti umani e baluardi indipendenti della democrazia. La libertà d’espressione del giornalista pone un argine al potere sovrano dello Stato, ha funzione di denuncia sociale e insieme funzione didattica di cittadinanza attiva, avvertimento nei confronti della collettività rispetto alla realtà circostante. Nel contesto odierno, in una realtà sovvertita dalla pandemia, il giornalismo costituisce un faro al quale riferirsi per far luce tra le centinaia di opinioni e pulsioni differenti, inevitabili, in un momento di crisi.
Occorre arricchire la cornice del contesto con la consapevolezza che l’informazione giornalistica, negli ultimi dieci anni, ha vissuto una rivoluzione fatta di blog, social network, web news e quant’altro, che ha contribuito a provocare una transizione per cui la risorsa principale del profitto giornalistico è passata dal rapporto di fidelizzazione del lettore, al numero di click raggiunti. Alle fonti d’informazione certificate si sono aggiunti input provenienti da singoli individui, pagine di condivisione, o altri soggetti il cui apporto non è soggetto a controllo. In questo modo, notizie verificate si confondono con notizie non verificate.
Oltre all’aumento dei soggetti che esercitano il ruolo di giornalista, o divulgatore di notizie, appunto perché molti dei “nuovi” strumenti sopracitati prescindono da una regolare iscrizione all’Albo, un altro fattore è la conformazione della rete internet, in cui, appunto, l’articolo non si trova più a distanza edicola, o a pagina x, ma si trova a portata di click, elidendo spazio e tempo dall’equazione. Chi si aggiudica il click del lettore, ha vinto. Questo attribuisce un’importanza immensa alla funzione accattivante del titolo e sposta le ragioni di attrattiva di un giornale sul piano dell’appariscenza, piuttosto che sul piano della profondità.
Inevitabile conseguenza di una società più abituata a ricevere continuamente input a destra e a manca e sempre meno abituata ad approfondirli? Forse.
Forse però voglio credere che con gli episodi di ieri si sia arrivati al punto più basso, al famoso estremo polibiano dell’anaciclosi, da cui il giornalismo può incominciare la propria strada verso la direzione opposta. A riguardo, prendo ad esempio un quasi surreale dibattito avvenuto su Twitter tra Selvaggia Lucarelli e Margherita Fronte, proprio sulla valutazione della richiesta avanzata da Verna nella priorità dei vaccini. La prima si poneva a difesa dell’importanza del ruolo del giornalista in tempi di pandemia (e, si suppone, a favore della richiesta di Verna), la seconda contraria.
Il punto d’interesse del dibattito, tuttavia, risiedeva proprio nella diversa concezione di giornalismo da parte della Lucarelli, la quale prende a paradigma il giornalismo d’assalto, quasi di guerra, costantemente nell’occhio del ciclone, in questo caso rappresentato dalle sale di terapia intensiva. Al lato opposto la concezione della Fronte, giornalista scientifica che scrive su Focus, abituata ad un lavoro di studio e ricerca dietro le linee.
Ad un certo punto, evitando di commentare l’arroganza che traspare, emerge la convinzione da parte della Lucarelli per cui questo secondo tipo di giornalismo sia da concepire ad un livello differente da quello quotidiano, quasi come se non fosse nemmeno giornalismo, etichettando il giornale mensile come uno che non richieda un impegno giorno per giorno. Ecco, tutto ciò è estremamente paradigmatico di quanto detto finora. L’approfondimento vero, in questo caso scientifico, viene declassato a non-giornalismo, a favore del giornalismo flash, della notizia costante e, ahimè, molto spesso imprecisa.
Torniamo al punto iniziale: i titoloni su AstraZeneca. Ieri, come detto, alcuni quotidiani hanno titolato in maniera indubbiamente allarmistica riguardo alla notizia del blocco precauzionale del lotto di 250.000 vaccini. I fatti consistono nell’avvenuta morte di due individui in circostanze non ancora chiare, ma soprattutto nell’assenza di un nesso causale con il vaccino e la rassicurazione in merito ad AstraZeneca da parte di tutti gli organi di garanzia dell’ambito farmaceutico e vaccinale.
Oggi, registriamo numerose notizie di medici che non trovano un numero di pazienti sufficienti ad essere vaccinati con AstraZeneca e di un numero spaventoso di defezioni tra coloro che avevano prenotato il vaccino. Il tutto sulla base di una suggestione senza fondamento, amplificata da quella che è da molti considerata l’unica fonte veramente affidabile: la testata giornalistica nota, storica. A poco serve che nell’approfondimento a pagina x, fosse specificato come non vi fosse legame causale, o quant’altro: la prima pagina del giornale guida i giudizi più di quanto non lo faccia l’editoriale specifico. Una constatazione che non rappresenta una sorpresa per nessuno.
È accaduto per caso che questi l’episodio tra le due giornaliste di cui sopra e i titoloni su AstraZeneca siano intervenuti lo stesso giorno, ma è una coincidenza che sottende la pericolosità di quanto detto sopra, riguardo alla direzione verso cui si muove il compito del giornalista. A che prezzo si paga la tempestività della notizia, il lancio pirotecnico del titolo accattivante, se ne perde la completezza, la veridicità del contenuto? Il giornalismo scientifico di cui sopra sta assurgendo a ruolo di contraltare rispetto al troppo superficiale giornalismo quotidiano e tale situazione è difficilmente tollerabile.
È lecito pretendere un cambio di passo da parte delle principali testate, chiamate a responsabilizzarsi maggiormente e a fare qualche rinuncia, magari in termini di mercato facile, a favore di scelte più in linea con il vero ruolo del giornalista, di informatore della società pubblica.
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