Governo Draghi: ecco i ministri

Sciolta nella tarda serata di venerdì la riserva sull’accettazione dell’incarico, il premier Mario Draghi ha annunciato i membri del nuovo governo. Innanzitutto, salta all’occhio la composizione, che vede ben 15 ministeri affidati a individui affiliati a partiti e 8 ministeri invece affidati ai “tecnici”, ovvero a individui non appartenenti ad un partito. La chiamata alla collaborazione aveva riscosso appoggi provenienti da tutte le possibili direzioni politiche, conferendo al premier Draghi il non semplice compito di bilanciare le forze di maggioranza all’interno del colorito esecutivo.

Il compito è però stato eseguito indubbiamente in modo adeguato: 4 ministeri ai 5 stelle, 3 ministeri a Lega, PD e Forza Italia, mentre Liberi e Uguali e Italia Viva ne conservano uno a testa.

Sono proprio i pentastellati a manifestare il maggior risentimento rispetto all’annuncio dei funzionari di governo. La strada che  percorsa prima di procedere alla decisione di investire della fiducia il premier Draghi era stata alquanto tumultuosa e la scelta finale aveva visto tra gli scontenti “illustri” Alessandro Di Battista, che aveva affermato che “non avrebbe più parlato a nome del partito”. Sulla falsariga si erano poi esposti altri volti del partito dopo l’annuncio dei ministri, addirittura minacciando la costituzione di un nuovo gruppo di opposizione in Parlamento. Non sarà quindi unanime la maggioranza pentastellata in Parlamento.

Rispetto al Movimento, il premier decide di confermare Luigi Di Maio al Ministero degli Esteri, presumibilmente conferendogli, tra i ministeri principali, quello rispetto al quale lo stesso Draghi, in ragione della propria popolarità internazionale, potrà sostituirlo con maggior frequenza. Patuanelli viene spostato dal Ministero dello Sviluppo Economico a quello dell’Agricoltura. D’Incà viene riconfermato ai Rapporti con il Parlamento, mentre Fabiana Dadone passa dalla Pubblica Amministrazione alle Politiche Giovanili.

È comprensibile il risentimento dei 5 Stelle, visto il chiaro declassamento di Patuanelli e della Dadone a ministeri “secondari”, ma è anche comprensibile la scelta di Draghi di affidare i ministeri a soggetti effettivamente competenti sulla materia.

Passando alla Lega, è proprio Giancarlo Giorgetti a ricevere il testimone al Ministero dello Sviluppo Economico, accompagnato da Stefano Garavaglia al Turismo e Erika Stefani al Ministero per la Disabilità. Se appare coraggiosa la scelta di affidare due ministeri tra i maggiormente significativi alla Lega, appare senz’altro adeguata la scelta di aver attribuito il mandato a due dei soggetti più impegnati nella battaglia per la “moderazione” della linea del partito. Nella Lega che si riscopre improvvisamente “europeista”, c’è senz’altro la mano di Giorgetti, da tempo sponsor principale della fuoriuscita del partito dall’eurogruppo attuale che li vede associati a Le Pen ed estrema destra tedesca.

I tre nomi di Forza Italia riflettono una simile posizione: Brunetta, Carfagna e Gelmini sono stati nei tempi recenti tra i più convinti detrattori delle politiche sovraniste intentate dai colleghi di coalizione Fratelli d’Italia e Lega, mettendo più volte in discussione la compatibilità con questi ultimi. Anche qui, non è un caso la scelta fatta da Draghi, che taglia fuori Tajani e Bernini, nomi specificamente richiesti da Berlusconi. Brunetta ritorna a coprire la Pubblica Amministrazione, come aveva fatto nel governo Berlusconi IV, a Gelmini viene affidato Affari Regionali e Autonomie, mentre Carfagna si occuperà di Coesione Territoriale e Sud.

Nel PD si tratta soprattutto di conferme: Orlando rimane al Ministero del Lavoro, Guerini alla Difesa e Franceschini alla Cultura. Italia Viva ritrova Elena Bonetti alle Pari Opportunità dopo le dimissioni che avevano segnato la fine del Conte II e Roberto Speranza rimane in sella al Ministero della Salute, scelta questa quasi obbligata per assicurare la continuità rispetto alla campagna contro la pandemia.

Il lustro della squadra di governo lo compongono però i tecnici: Marta Cartabia, ex presidente della Corte Costituzionale e prima donna a rivestire tale incarico, prende il posto di Bonafede alla Giustizia, in un passaggio di consegne tra due nomi il cui prestigio accademico è lontano anni luce. Daniele Franco, ex presidente Bankitalia e IVASS, siede alla poltrona del Ministero dell’Economia. Fu etichettato come antiquato e retrograde da Patuanelli, con cui governerà assieme, oltre che più coloritamente “pezzo di m…” dall’ex portavoce del premier Conte, Casilino, per aver osteggiato la realizzazione del reddito di cittadinanza mentre sedeva alla Ragioneria di Stato. I fatti gli hanno poi dato pienamente ragione.

A proposito di grillini, il Superministero da loro richiesto per la Transizione Ecologica viene affidato a Roberto Cingolani, illustre fisico e accademico rimasto alla guida dell’Istituto Italiano di Tecnologia per oltre 15 anni e da settembre 2019 innovation officer in Leonardo s.p.a. Segue Vittorio Colao, autore del dettagliatissimo piano anti-covid realizzato ad aprile 2020 e finito, senza mai una vera spiegazione, nei cassetti di Palazzo Chigi. È stato CEO di Vodafone Italia prima e Vodafone Mondo poi per oltre 10 anni: non vi è probabilmente figura più appropriata a rivestire l’incarico (difficilissimo nel nostro paese) di Ministro per l’Innovazione Digitale e Tecnologica.

Fondatore e portavoce dell’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile, l’ex presidente dell’Istat Enrico Giovannini svolgerà il ruolo di Ministro dei Trasporti, mentre al Ministero per l’Istruzione e per l’Università, vi sono rispettivamente Patrizio Bianchi e Cristina Messa, entrambi rettori in passato: il primo all’Università di Ferrara e la seconda all’Università Bicocca di Milano. Chiude il novero Luciana Lamorgese, confermata al termine del precedente governo per l’ottimo lavoro eseguito come Ministro degli Interni.

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