Greenpeace, l’Organizzazione non governativa volta alla tutela dell’ambiente fondata a Vancouver ad inizio degli anni ’70, ha rivolto un appello al vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans ed al Commissario preposto all’ambiente e agli oceani Virginijus Sinkevicius affinchè caldeggino con convinzione un tempestivo intervento nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica.
Infatti, il sorgere ed il diffondersi della pandemia del Coronavirus ha riportato alla luce l’annoso dibattito circa la salvaguardia della diversità biologica e degli habitat naturali.
Per esempio, sotto la lente di ingrandimento al momento troviamo soprattutto l’odiosa pratica del traffico e del commercio degli animali selvatici, il che starebbe alla base dell’esplosione dell’emergenza Covid-19.
È oramai risaputo che l’origine del virus viene dalla maggior parte degli esperti individuata nei “wet markets” di Wuhan, luogo in cui sarebbe con ogni probabilità avvenuto lo spillover, ossia il passaggio dell’agente patogeno da animale ad essere umano.
A questo proposito, gli addetti ai lavori ritengono che il responsabile di tale spillover possa essere il pangolino, il mammifero più trafficato del mondo a causa dell’elevato indice di apprezzamento per le scaglie costituenti la sua corazza.
Non è affatto raro imbattersi all’interno dei wet markets cinesi in esemplari di pangolini i quali, insieme a numerosissimi altri animali selvatici, si trovano a vivere – in condizioni ambientali a dir poco disastrose- a strettissimo contatto con i commercianti e i clienti.
Il che dovrebbe bastare per far intuire quanto facile sia stato il passaggio del virus da animale ad uomo, essendo infatti sufficiente che uno schizzo di sangue del primo finisse sul secondo, il quale avrebbe poi suo malgrado inizio la catena di contagi fino alla situazione che tutti noi oggi conosciamo.
Ad oggi le attività di questi mercati umidi sono temporaneamente sospese sia in Cina che in Vietnam, i paese in cui le abitudini alimentari della popolazione hanno reso tali markets maggiormente diffusi. Tuttavia, ben consapevoli dei rischi già ampiamente menzionati, diversi governi e molte organizzazioni stanno chiedendo a gran voce la chiusura definitiva di questi luoghi, in modo da proteggere almeno per il futuro il bene della salute.
La richiesta di Greenpeace va però oltre. Essa è perfettamente a conoscenza del fatto che il commercio avente ad oggetto animali selvatici va ben oltre i motivi culinari e, proprio per questa ragione, l’associazione ambientalistica sta spingendo con forza affinchè vengano introdotte – auspicabilmente a livello globale- norme e regolamenti che vietino il traffico delle specie selvatiche, allo scopo di tutelare la diversità biologica del pianeta e l’equilibrio naturale che da essa deriverebbe.
L’appello rivolto alle Istituzioni internazionali da Greenpeace non può essere affatto ignorato, in quanto abbiamo ampiamente sottolineato quanto in gioco vi sia non solo la protezione dell’ambiente, ma anche la salute del genere umano.
In conclusione, appare –o quantomeno si auspica- che i tempi siano finalmente maturi per dar seguito a questa iniziativa, nella quale confluiscono tantissimi interessi, ognuno di essi di vitale importanza.
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