Al Museo Carlo Bilotti, presso l’Aranciera di Villa Borghese, è stata inaugurata il 15 febbraio la “personale” dell’artista JAGO, al secolo Jacopo Cardillo. Ho conosciuto Jago su Facebook, uno dei suoi strumenti di divulgazione, comunicazione, condivisione. Jago è diretto, non ha barriere intorno. Sa far vivere tutti i suoi universi poliedrici alla massima espressione. Le sue opere sono solo una parte del suo modo di esprime l’arte. Lui è un artista vero, in più è persona gentile e disponibile con tutti, parla e si racconta. La sua naturalezza è anch’essa espressione del suo modo di trasmettere. Ti incanta con i suoi aneddoti. Pur essendo giovanissimo, ha vissuto una vita così piena e diversa da quella che posso conoscere io, che staresti le ore a sentirlo. E poi effettivamente sa parlare molto bene.
Nelle sue sculture appare il suo Mondo, come lo vede. Riesce a far emergere l’espressione della sua anima. C’è qualcosa di molto semplice-basico, naturale, un contatto col terreno da cui tutto nasce, quei massi raccolti dai fiumi, nelle cave. C’è poi invece la complessità di quello che esprime, che è l’insieme del sé e di quello che entra in contatto con lui, la stessa esistenza, la sua storia.
Tutto può partire dal battito di un cuore. Questo è stato preso bloccato e diviso in tanti attimi. Ma come pensarla questa cosa, come proporla? Come manifestarla ed trasformarla in arte? Riproducendo tanti cuori, trenta, ognuno in una frazione differente dell’attimo del battito. Facendo tante foto e montandole in un video, si vede come un cuore in ceramica batte. Lo stesso cuore è emerso all’interno di un masso grigio fuori e bianchissimo dentro, con tutti suoi collegamenti ad un corpo che però, in quel momento non è espressione di vita, ma è al Centro di quel lavoro.
Jago mi ha raccontato, di come i suoi lavori mutino in corso d’opera e sono le stesse opere che anticipano e animano la sua mano, facendo si che le stesse prendano vita. Lui si dice quasi costretto a fare, lavorare, per capire dove sta andando. Lui toglie tutto quello che c’è in più. Le cose nascono libere, uguali a se stesse, non dovrebbero dire nulla di più di quello che già dicono. Nel percorso, durante la lavorazione, ci sono nuove percezioni che lo spingono su strade differenti. Questo lavoro, il suo mondo è la maniera che lui ha per ritrovare se stesso e da questo esprimere le sua capacità. Il marmo è il contenitore di qualcosa che deve essere manifestato. La sua arte esprime purezza, il suo essere interiore che solo così riesce ancora ad emergere.
Alla mostra di Villa Borghese, c’è la sua Venere. L’ho vista nascere anche io, giorno dopo giorno. Su Facebook, ogni sera vedevo i progressi nella realizzazione. Quanto lavoro, tra strumenti antichi e moderni, tra scalpello e Dremel. Jago lavora presso una struttura dove tra mascherina, occhiali, dremel e aspiratore della polvere, ( e di tanto in tanto smartphone acceso e collegato), svolge il suo non poco faticoso lavoro. Una venere anziana, vecchia, che porta il peso degli anni, della vita, che lui ha raccontato a suo modo, spiegando il perché abbia pensato e realizzato un’opera controversa, di una bellezza che non rapisce ma che non può non attrarre per il dettaglio, per le espressioni fisiche, le proporzioni e la postura e lo sguardo. Un’opera viva che si racconta. Ognuno può dare un’interpretazione e una storia. Jago ce l’ha raccontata. Ci vuole coraggio a fare una Venere che va oltre la bellezza, che supera il concetto proprio comunemente inteso. Nella Venere di Jago la bellezza rimane anche quando non c’è più la fierezza della gioventù. La Venere “decadente” ha un fascino che rimane in quanto è e non solo per quello che può esser stato. Aldilà di quanto detto ciò che colpisce è quello che è esposto. Ad occhio inesperto appaiono subito la perfezione delle proporzioni, il modo di stare, la piega del collo e l’espressione del volto. Ci sono muscoli, vene e il peso del tempo che ne faranno un’opera immortale.
Il suo Papa Ratzinger (nel 2009) non ottenne inizialmente il giusto riconoscimento in Vaticano perché la statua era senza gli occhi. Però poi Jago vinse il premio dell’Accademia Pontificia. fece anche una mostra che aveva quella statua quale immagine di presentazione. Quando il Papa si dimise, spogliandosi delle vesti, lui non ci mise poi tanto a decidere di spogliare anche il suo Papa, e riportò Ratzinger ad una dimensione umana, nudo e anziano, con un impatto sconvolgente. Creò la magnifica Habemus Hominem (che da il nome alla sua attuale mostra). Anche oggi, come qualche anno fa, il Papa Ratzinger, vestito e spogliato lo introduce.
Non vi racconto altro di Jago, chi è, e tutti i premi che a vinto. In Rete c’è tutto o quasi delle tante mostre a cui ha partecipato e degli articoli che parlano di lui (anche e sopratutto il suo profilo facebook si trova tutto). Per me è stata una scoperta inaspettata. Il 15/02 sono stato alla inaugurazione. L’avevo conosciuto di persona già alla Festa del Cinema di Roma, e mi ha confermato tutte le cose buone viste già su internet. Ho avuto il contatto diretto visivo e tattile delle opere è mi è sembrato di conoscerlo meglio, uno di casa insomma.
Poi quando ti saluta con un abbraccio e una stretta di mano, come un vecchio amico, con una stretta genuina e forte, un sorriso che ammalia, non puoi che augurargli tanta fortuna.
Aspetto le sue prossime realizzazioni, memorabili. A breve partirà per New York col suo Baby Trump (come ha chiamato scherzando la sua ultima creazione), poi lo aspetteremo sempre su Facebook….
Come dice, quella che lui definisce una dei suoi fari, la storica d’arte, Maria Teresa Benedetti, che ho conosciuto e con la quale ho scambiato alcune parole – non sapendo chi fosse, io nella mia totale ignoranza – Jago è forse tra i più grandi artisti contemporanei. Non deve perdere il contatto con la realtà, non deve svendersi alle lusinghe del denaro, deve crescere ancora, ma non potrà non essere tra i più grandi.
Anche Vittorio Sgarbi anni fa, ne aveva esaltato la bravura, riconoscendogli le capacità della riscoperta della forma e un certo ritorno al classicismo, pur con una modernità d’immagine nel rispetto della tradizione
Io potrò dire di averlo conosciuto.
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