HIV ed Epatite C esistono ancora, ma le abbiamo dimenticate!

C’è la pandemia dimenticata dell’Hiv. E poi c’è l’epatite C, che entro il 2030 potrebbe essere eliminata, ma oggi, secondo alcuni studi, uccide ancora 19 persone ogni 24 ore soltanto in Italia. Due infezioni virali che nell’immaginario collettivo, per molti, sono superate, e invece, per essere debellate davvero, richiedono azioni concrete. Di questo, e molto altro, si è parlato alla Summer School di Motore Sanità in corso a Gallio (Vi). Con un confronto tra espertii sulle linee guida nazionali e sulla loro attuazione. Analizzando le best practice di alcune Regioni, ma evidenziando anche carenze e punti di debolezza del sistema salute.

Hiv, la pandemia dimenticata: come fermare l’infezione?

Per quanto riguarda l’Hiv – è emerso nel convegno organizzato con il contrubuto incondizionato di Gilead – lo scenario attuale, caratterizzato dalla rivisitazione del modello organizzativo e gestionale del SSN in attuazione del PNRR e dalla proposta di rivisitazione della Legge 135 del 1990, determina la necessità di porre attenzione alle criticità ed alle dinamiche che impediscono una piena implementazione del Piano Nazionale AIDS.

Il 26 ottobre 2017, la Conferenza Stato-Regioni sanciva l’intesa sul “Piano Nazionale di interventi contro HIV e AIDS (PNAIDS)”, un Piano molto sfidante e dalla dichiarazione di intenti molto alta, che ha inteso delineare il miglior percorso possibile per conseguire, anche a livello nazionale, gli obiettivi indicati come prioritari dalle agenzie internazionali (ECDC, UNAIDS, OMS).

Le risorse poste nelle ultime leggi di bilancio per stimolare e supportare la ricerca scientifica non sono ancora sufficienti, ma è comune e diffusa la volontà politica di proseguire a liberare ulteriori risorse e strumenti per la ricerca. Anche se occorre un cambio di passo, come ha sottolineato Sandro Mattioli, Presidente Plus Persone LGBT+ sieropositive.  “Da troppi anni – afferma – stiamo riscontrando grandi difficoltà a rimpiazzare la legge 135 che risale al 1990. E ci sono alcune proposte di legge, redatte in collaborazione con i pazienti e con i clinici, ma giaggiono in Parlamento dopo mesi di revisione”.

Secondo Mattioli, “sembra che non ci sia interesse dalla parte politica”. In generale, ragiona ancora il presidente di Plus Persone LGBT+ sieropositive, “rispetto alle best practice su Hiv ed epatite C, ci sono ancora delle difficoltà di ordine logistico-organizzativo: inserire cose nuove nelle procedure  organizzative di Aziende sanitarie e Aziende ospedaliere è complicatissimo. Nel nostro Paese – prosegue Mattioli – passa parecchio tempo prima che una scoperta scientifica arrivi nella pratica clinica, soprattutto se parliamo di pratiche di buon livello”.

Mattioli pensa ad esempio “alla  prep, approvata dal FDA nel 2012, ma arrivata da noi con tutto comodo, con Aifa che ha autorizzato il pagamento nel 2017. Quindi, chi aveva i soldi faceva la Prep, chi no, doveva stare attento”.  Poi, nel 2013, “è andata a rimborso, ma solo se prescritta dall’infettivologo, solo nel suo ambulatorio di malattie infettive, ritirabile solo nelle farmacie ospedaliere, come se la gente non lavorasse e avesse facilità di prendere permessi sul lavoro”. Insomma: “Le best practice ci sono, ma in Italia si fa molta fatica a realizzarle”.

L’epatite C uccide ancora 19 persone al giorno e ci sono 280mila casi sommersi, ma l’Italia può eliminarla entro il 2030

Secondo Polaris Observatory, ogni giorno, in Italia, 19 persone muoiono a causa dell’epatite C (HCV), una malattia che potrebbe essere debellata entro il 2030 grazie a uno screening universale e ai progressi nei trattamenti farmacologici.  L’obiettivo di eliminare l’HCV entro i prossimi sei anni è stato fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e per l’Italia si tratta di un traguardo ambizioso, ma possibile, a patto di intensificare le attività di screening su tutta la popolazione, in particolare sugli over 60, la fascia d’età che raccoglie la maggior parte dei casi sommersi che si stima possano essere 280mila.

I dati sullo screening in Italia

In Italia, grazie agli sforzi del Ministero della Salute e alle direttive nazionali, sono stati eseguiti finora circa 1,7 milioni di test, identificando 13.000 infezioni attive, ovvero lo 0,77% della popolazione testata. Le percentuali variano sensibilmente a seconda del gruppo esaminato: se nella popolazione generale il tasso di infezione scende allo 0,15%, (2.314 casi su 1,5 milioni di screening), tra gli utenti dei Servizi per le Dipendenze (SerD) la percentuale sale all’8,6% (8.504 casi identificati su poco più di 99.000 test effettuati). Tra i detenuti, poi, la percentuale di infezione attiva arriva allo 0,77%.

È importante notare che un terzo degli screening è stato effettuato in Lombardia, una delle regioni che ha attivato più rapidamente ed efficacemente il programma di prevenzione. Seguendo le linee guida ministeriali, è stato attivato uno screening su larga scala, con un focus sui nati tra il 1969 e il 1989. Le persone incluse in questa coorte sono state invitate a sottoporsi a un test anticorpale gratuito, semplicemente presentandosi presso un punto prelievo. A luglio 2024, circa 482.000 persone, pari al 16% della coorte, avevano aderito, con notevoli differenze di partecipazione tra i vari territori. Su questi 482.000 test, 2.438 sono risultati positivi.

A oggi, 14 regioni hanno avviato lo screening sulla popolazione generale, mentre altre risultano ancora indietro.

Un piano ambizioso per il 2030

Eliminare l’HCV è un obiettivo realistico, grazie anche ai farmaci di ultima generazione che permettono di trattare con successo quasi tutti i casi di infezione. Tuttavia, resta essenziale rafforzare le strategie di prevenzione e diagnosi, per evitare che l’80% delle persone esposte al virus sviluppi una forma cronica della malattia, che può portare a complicazioni gravi, come cirrosi o cancro al fegato. Nel mondo, ogni anno, l’HCV infetta circa 2,5 milioni di persone, con oltre 200 milioni di individui già colpiti dal virus, 170 milioni dei quali convivono con una forma cronica. L’Italia, tra i Paesi occidentali, ha fatto notevoli progressi, eseguendo circa 300.000 trattamenti contro l’HCV. Tuttavia, resta un problema importante: si stima che ci siano ancora circa 280.000 persone nel Paese che convivono con l’infezione in forma asintomatica e non diagnosticata, rendendo essenziale l’espansione del programma di screening.

Giovanni Cenderello, direttore SC Malattie Infettive Asl 1 Imperiese Sanremo e presidente Simit Regione Liguria: “Per fare emergere il sommerso di contagi di epatite C che ancora esiste in Italia e raggiungere gli obiettivi dati dal WHO 20-30, è necessario un lavoro di squadra tra i medici di medicina generale, che sono coloro che hanno in gestione i pazienti, i medici ospedalieri prescrittori, gastroenterologi e infettivologi, e i medici non specialisti di che potrebbero vedere questi pazienti in altri contesti”. Per quanto riguarda l’HIV, Cenderello pone l’accento sulle patologie indice. “C’è un documento condiviso Simit-Simeu che prevede di utilizzare le patologie indice per iniziare lo screening fin dal Pronto Soccorso in cui il paziente accede per un’altra patologia non direttamente HIV correlata ma che può far sospettare la patologia stessa. Attuare questo piano, dando attuazione concreta al documento, permetterebbe di ridurre la quota ancora inaccettabile di pazienti advanced naive, ossia in AIDS conclamato, che si presentano nei ricoveri ospedalieri”.

Le best practice: il caso del Veneto

La Regione del Veneto, già con la deliberazione della giunta regionale n. 791 del 08 giugno 2018, ha avviato un programma di eliminazione dell’epatite C (HCV) e l’Istituzione di una Cabina di regia. Lo screening, attivo a partire dal 16 Maggio 2022, è destinato a tutte le persone nate tra il 1969 e il 1989 e ad alcune popolazioni selezionate, quali i soggetti seguiti dai Servizi per le Dipendenze ed i detenuti .

Si può effettuare il test in occasione di un accesso alle strutture sanitarie (ad esempio, ricovero ospedaliero, intervento in day hospital, visita specialistica, accesso ai laboratori del Servizio Sanitario Regionale-SSR) o dopo un confronto con il proprio medico curante. E’ poi possibile presentarsi direttamente presso i laboratori identificati dall’Azienda Sanitaria, senza impegnativa. In alternativa, si può aspettare di ricevere l’invito ad effettuare il test, seguendo le indicazioni che verranno fornite dalla propria ULSS.

In caso di positività al test di screening, il personale sanitario dell’ULSS contatterà il soggetto per gli ulteriori approfondimenti e organizzerà una visita presso il centro specialistico di riferimento. Tutto il percorso è gratuito, senza necessità di pagare il ticket. I costi del percorso di screening HCV sono, infatti, interamente coperti dal SSR.

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