Hong Kong stato di polizia?

Anche dopo il ritiro della decisione in merito all’estradizione, le proteste non si arrestano. Anche con il coronavirus che dilaga in tutta la Cina, i giovani di Hong Kong non si arrendono e continuano a denunciare gli abusi e raccontarci di una situazione paragonabile a quella di uno stato di polizia.

Le proteste continuano. Una delle ultime manifestazioni si è svolta domenica fuori dal parcheggio Tseung Kwan O. Proprio lì, quattro mesi prima, si era spento Alex Chow, dopo diversi traumi cerebrali a seguito di una caduta durante una protesta. Domenica in centinaia si sono radunati per ricordare il ragazzo, mascherine sul viso e candele accese in mano.

La polizia ha reagito poco dopo, innalzando cartelli che dichiaravano l’illegalità del raduno e minacciando l’uso della forza qualora la folla non si fosse diradata. Hanno poi richiesto ai presenti, i passanti e i giornalisti di fornire documenti. La violenza ormai ad Hong Kong è all’ordine del giorno.

Alex Chow, giovane studente e attivista di prima linea per la democrazia ad Hong Kong

 

Le forze di polizia, in reazione alle proteste che si svolgono ormai da giugno 2019 quasi senza interruzioni, hanno più volte usato la forza. Diverse indagini sono state quindi iniziate per controllare eventuali abusi. Sui social media è facilissimo trovare video di poliziotti che spruzzano spray al peperoncino negli occhi di passanti indifesi, che strattonano uomini di mezza età e donne.

Recentemente ci sono anche state denunce da parte di donne che dicono di essere state abusate da poliziotti. Altri video mostrano una moto della polizia che si scagliano contro gruppi di persone che stanno scappando.

Anche le Nazioni Unite hanno iniziato ad indagare sulla polizia di Hong Kong. Il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha dato udienza al vicecommissario della polizia, che ha parlato di manifestanti violenti e irrispettosi.

 

Oscar Kwok, vicecommissario della polizia di Hong Kong

Secondo Oscar Kwok infatti i manifestanti tengono in ostaggio la città. Li definisce “violenti criminali”. La polizia fa solo il suo lavoro, sostiene il commissario davanti alle Nazioni Unite, “si occupa di far rispettare la legge”. “Il fine non giustifica i mezzi”, dice, “noi poliziotti non dobbiamo giudicare qualora la causa per cui (i manifestanti) lottano sia giusta, ma solo se hanno commesso un crimine oppure no, se hanno infranto la legge oppure no” e ancora “Nessuno è al di sopra della legge”.

I cittadini però hanno paura della polizia stessa, che dovrebbe proteggerli.

Amnesty ha dichiarato la necessità di dare inizio ad un’inchiesta indipendente che si occupi delle lamentele contro il corpo di polizia. Analizzando gli organi che al momento se ne stanno occupando, Amnesty ha notato una mancanza di potere, di imparzialità e di potere investigativo. Gli organi sarebbero non conformi agli standard previsti dal diritto internazionale.

“I controlli sull’uso della forza da parte degli agenti dovrebbero essere più stringenti” e sono stati documentati casi in cui “l’uso della forza era superfluo ed eccessivo”. Solamente il 3.5% delle lamentele vengono prese in considerazione da questi organi. Da questo 3.5% dichiarato affidabile non sono mai sorte persecuzioni di alcun genere per gli ufficiali. Ad oggi, nemmeno un agente è stato perseguito. La prassi è quella di dare un “consiglio” agli agenti richiamati, consiglio che non viene registrato in alcun modo.

Le proteste sono nate dall’approvazione di un documento che avrebbe permesso l’estradizione di persone sul territorio dello stato indipendente da parte di alcuni paesi (tra i quali la Cina). Questo avrebbe di fatto minacciato l’indipendenza dello stato, sottoponendolo alla giurisdizione della Cina e mettendo in pericolo libertà civili, in materia di privacy e libertà di espressione. I protestanti a partire dal 9 giugno fanno richiesta ad Hong Kong di essenzialmente 5 elementi.

Il primo è ritirare la decisione sull’estradizione, per riavere la loro completa indipendenza giudiziaria. Secondo, investigazioni da parte di organi indipendenti sulla violenza e cattiva condotta della polizia. Terzo, il rilascio dei protestanti arrestati sino ad oggi. Quarto, il ritiro della classificazione delle proteste come “rivolte”, ed infine le dimissioni della Governatrice Carrie Lam (non eletta democraticamente) ed il suffragio universale per l’elezione di alcune cariche.

Carrie Lam – Foto Anthony Wallace/AFP

La decisione in materia di estradizione è stata ritirata in seguito alle proteste il 23 ottobre 2019. Nelle elezioni per i consigli locali che si sono tenute in novembre i candidati pro-democratici hanno vinto 389 seggi su 452, lasciandone ai candidati pro-Beijing solo 58. Un risultato record, se si considera che questi ultimi ne avevano ottenuti 300 alle elezioni precedenti.

Continuano però le violenze e gli abusi, e l’atmosfera non si è rilassata. I protestanti non si arrenderanno fino a quando tutti i punti della loro lista non saranno esauditi. La polizia è uscita dal periodo più violento delle proteste rafforzata e sicura del suo potere. La Freedom House assegna ad Hong Kong la classificazione come “parzialmente libero” e gli assegna 16 punti su 40 per quanto riguarda i diritti politici.

Organizzazioni internazionali cercano di entrare all’interno di questa situazione delicata, mentre le grida per giustizia e democrazia non si arrestano nemmeno da dietro le mascherine.

Venezuela: tra crisi ed illusioni

Commenta