Il buco dell’ozono consiste nel restringimento dello spessore dello strato di ozono nell’atmosfera terrestre, la fascia che ci protegge dai raggi ultravioletti. Attualmente il “buco” si trova in prevalenza sopra il Polo Sud del nostro pianeta e si espande del 5% ogni 10 anni. Questo accade perché le zone polari sono meno esposte all’emissione solare, per cui si verificano minori reazioni fotochimiche tra le molecole d’ozono e le radiazioni solari. Il buco dell’ozono è causato dal rilascio di alcune sostanze inquinanti da parte dell’uomo, sia dalle attività produttive. Infatti, a partire dalla seconda metà del Novecento, lo strato si è a poco a poco assottigliato. Questo è causato dal rilascio nell’atmosfera di alcune sostanze inquinanti, come il gas dei clorofluorocarburi presenti, per esempio, nelle prime bombolette spray e negli impianti di refrigerazione.
Il 2020, l’anno della pandemia, ha cambiato molte delle nostre abitudini che hanno avuto ripercussioni anche sulla salute del Pianeta. Infatti, gli scienziati hanno parlato di un problema legato al riaprirsi del buco dell’ozono atmosferico: in quel periodo l’estensione del buco dell’ozono aveva raggiunto uno dei suoi massimi storici arrivando a misurare circa 24,8 milioni di chilometri quadrati. In un articolo chiamato “Scientific Assessment of Ozone Depletion: 2022”, che tradotto in italiano “Valutazione scientifica dell’esaurimento dell’ozono per il 2022”, pubblicato all’inizio dell’anno 2022 dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale, contiene la notizia che ha fatto il giro di tutto il mondo: il buco dell’ozono si chiuderà a metà di questo secolo.
Alla fine degli anni Settanta le misurazioni dell’ozono in atmosfera mostrarono un assottigliamento dello strato di ozono stimabile intorno al 5%. Per una serie di ragioni legate alla circolazione globale dei venti, questo assottigliamento era particolarmente pronunciato sopra i due poli. Individuata la causa e lanciato l’allarme, nel 1987 venne firmato il protocollo di Montreal, un’intesa internazionale sotto la protezione delle Nazioni Unite, che bandiva la produzione e l’utilizzo dei gas che causano l’assottigliamento dello strato di ozono dell’atmosfera. Quello che viene celebrato oggi sulla base dei dati scientifici è il successo di quell’accordo, sottoscritto praticamente da tutti i paesi del mondo. Il risultato di quella congiuntura è che si sono evitati alcuni disastri. Hassler, ricercatrice all’Institute of Atmospheric Physics, afferma che “senza il Protocollo di Montreal, vaste aree del pianeta sarebbero diventate praticamente inabitabili, soprattutto ai tropici e alle medie latitudini”. Questo per via dell’effetto riscaldante di una maggior quantità di raggi UV, a cui si sarebbero sommati, “anche cambiamenti climatici regionali con l’aumento delle temperature superficiali”.
In più gli scienziati hanno stimato che senza l’intervento sui clorofluorocarburi nel 2060 “cinque minuti all’esterno sotto il sole avrebbe avuto gravi effetti sulla pelle”, con una maggior incidenza di tumori. Il protocollo di Montreal ha quindi salvato anche molte vite sotto questo punto di vista. Oggi, per l’anidride carbonica e il problema climatico che viviamo è più complesso intervenire. Ma, l’esperienza del buco dell’ozono ci dice che, con l’idea di traguardi comuni chiari e con la collaborazione e l’impegno di tutti, è possibile rovesciare la rotta e raggiungere gli obiettivi climatici.
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