Continuano le recensioni, in questi tempi in cui si ha molto tempo (per molti di noi) di stare davanti alla televisione a guardare Netflix. Se la volta scorsa, con Spenser Confidential , Netflix aveva mostrato qualche limite con i suoi lungometraggi, con Il Buco, per la regia di Galder Gaztelu-Urrutia, ce l’aveva quasi fatta.
La pellicola spagnola è un estrosa opera claustrofobica, narrata all’interno di un buco, appunto (anche se nella versione italiana viene doppiato come “fossa”), una enorme prigione verticale in Spagna, dove in più di 250 piani si trovano più di 500 detenuti. Alcuni di loro sono lì per scontare una pena, altri volontariamente.
Il carcere è formato da celle con due abitanti all’interno, con i basilari servizi igenici. Una sopra l’altra, con un’enorme fossa verticale che le collega l’un l’altra. In un didascalico paragone con la società moderna, in questo buco scorre un pantagruelico tavolo colmo di cibo di tutti i tipi.
L’unica regola della fossa è: mangia. Chi si trova ai piani superiori ha diritto per primo al cibo, mentre chi si trova ai piani sottostanti mangia gli avanzi. Pian piano che si scende nutrirsi diventa sempre più complesso, mentre ai piani inferiori il cibo solitamente non arriva.
Le opzioni per gli inquilini che si trovano oltre il centesimo piano sono solo tre: il digiuno, il suicidio o il cannibalismo. La prima solo chi è meno fragile può permetterselo, digiunare per un mese è l’unica soluzione pacifica per arrivare alla fine del mese.
Difatti ogni 30 giorni gli inquilini (salvo che uno dei due sia morto o che abbia scontato la sua pena) vengono spostati di piano, pregando che la loro nuova sistemazione sia il più possibile vicina alle celle più in alto.
Il protagonista, un giornalista di nome Goreng è lì volontariamente, per scrivere un libro sulla sua esperienza e per smettere di fumare, decidendo di pernottare nella fossa per sei mesi. Il suo primo coinquilino, un viscido anziano di nome Trimagasi è invece lì per aver commesso un omicidio.
In breve tempo il suo compagno di cella, non appena si accorge di essere stato assegnato a un piano bassissimo lo aggredisce, avendo poi la peggio grazie ad una misteriosa donna che ogni mese scende sulla tavola per “cercare suo figlio”.
La seconda compagna di Goreng è una donna, una impiegata della struttura che aveva accordato a Goreng di andare nella fossa per sua libera scelta (il che dà adito all’idea che la fossa sia una specie di esperimento) che ha portato con sé il suo cane (si può portare un effetto personale con sé, anche se un arma).
Dopodiché si imbatte in un energumeno, il gigantesco Baharat, che lo accompagnerà nella sua discesa “profetica” (viene spesso chiamato Messia), nel tentativo di razionare il cibo e dar da mangiare a tutti i detenuti della fossa, scoprendo poi che la maggior parte degli inquilini dei piani bassissimi (200 in giù) sono praticamente tutti morti di fame.
L’obiettivo di Goreng diventa quello di lasciare un messaggio ai piani di sopra: una deliziosa panna cotta dovrà sopravvivere alle grinfie di prigionieri affamati, tornando “di sopra”. Infatti ogni notte la piattaforma che trasporta il cibo torna in cima a velocità folle.
Il che ovviamente conferma la teoria fossa=esperimento sociale.
Ci pensa però il finale a rovinare un candidato all’etichetta di capolavoro. Il messaggio da mandare si scopre essere in realtà una bambina (la figlia della misteriosa donna, non il figlio maschio come invece si era capito) che risiede da sola all’ultimo piano inferiore.
Sul perché di questa sistemazione non c’è data alcuna spiegazione. Da qui in poi il film diventa nonsense: la bambina viene fatta risalire usando la piattaforma che come detto viaggia a grandissima velocità. Difficile pensare che non sia un viaggio decisamente rischioso soprattutto per l’inerzia che l’infante dovrà subire al momento della frenata.
Goreng, rimasto solo (non si capisce perché non accompagni la bambina in un tentativo di fuga) al di sotto del piano più basso, se ne va incamminandosi in una stanza vuota e buia.
La scusa del “finale aperto” non sembra essere accettabile, film simili, come il canadese The Cube avevano una loro spiegazione conclusiva. Netflix ha rovinato un film estremamente pregevole con un ending incomprensibile che lascia solamente fortissimo sapore di amaro in bocca.
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