32 anni fa terminavano in una violenta repressione le proteste di Piazza Tienanmen, una delle pagine più tristi della storia cinese. Per il secondo anno di fila in Cina vietate le commemorazioni del massacro.
Il 4 giugno 1989 l’esercito cinese, attraverso carri armati e fucili d’assalto, represse nel sangue la protesta di studenti e lavoratori in quello che verrà ricordato come il Massacro di Piazza Tienanmen. Il mondo ricorda la manifestazione come un evento storico fondamentale del ventesimo secolo, al contrario, in Cina l’argomento viene considerato un tabù. Il Partito Comunista Cinese ha cercato di occultare le testimonianze del massacro di Tienanmen, censurando immagini, filmati e prove che documentano le manifestazioni e la loro repressione. Questo silenzio imposto dall’alto si palesa in modo particolare in occasione delle commemorazioni del massacro, organizzate ogni anno, per la giornata del 4 giugno. Tutte le forme di ricordo della strage sono controllate severamente da parte delle autorità, anche dal punto di vista della loro pubblicazione in rete.
I motivi della protesta
Le manifestazioni iniziarono il 15 aprile 1989 e videro come protagonisti studenti, lavoratori, operai, insoddisfatti della nuova linea autoritaria adottata dal governo di Pechino. Dopo la morte di Hu Yaobang, segretario del partito comunista e fautore di una spinta riformatrice in senso democratico, i manifestanti cominciarono a richiedere al governo cinese libertà, riforme democratiche ed economiche e un miglioramento generale delle condizioni di vita. La manifestazione assunse dimensioni universali: intellettuali, professori universitari e numerosi funzionari pubblici si unirono alla causa dei manifestanti, dando vita alla più grande protesta politica della Cina dalla Grande rivoluzione culturale del 1966. Nelle prime fasi della protesta non ci furono contrasti tra manifestanti e autorità: venne indetto uno sciopero da parte degli studenti e venne occupata piazza Tienanmen. Le circostanze si aggravarono nel mese di maggio, quando migliaia di persone iniziarono uno sciopero della fame. In risposta alla situazione il governo di Pechino approvò la legge marziale e il 3 giugno ordinò di liberare la piazza. Nella notte del 3 giugno l’esercito si diresse verso piazza Tienanmen e, di fronte alla resistenza dei manifestanti, i militari aprirono il fuoco indiscriminatamente. Le posizioni riguardo al bilancio delle vittime appaiono ancora oggi divergenti: si stimano dalle 500 alle 2500 morti, ma c’è chi parla di numeri ancora più alti. La repressione non terminò con il massacro di Piazza Tienanmen: nei giorni successivi al 4 giugno l’esercito attuò una vera e propria epurazione in tutta la Cina. Moltissimi giovani lavoratori furono uccisi soltanto perché d’accordo con le istanze di protesta dei manifestanti.
Il ricordo negato
Il governo cinese ha da sempre negato il massacro di Tienanmen, e ogni anno, in occasione della ricorrenza della repressione, cerca di fermare manifestazioni e commemorazioni, agendo contro tutti coloro che si adoperano in ricordo dei fatti del 4 giugno. A partire dal 2020 le commemorazioni sono state vietate a Hong Kong, e anche quest’anno le cerimonie del 4 giugno sono state dichiarate illegali, con il conseguente arresto di alcuni attivisti. Il ministro della Sicurezza John Lee ha riferito che “chiunque parteciperà alle manifestazioni in ricordo violerà la legge”, menzionando a tal proposito la legge sulla sicurezza nazionale, la quale considera le manifestazioni in questione un sovvertimento del potere statale. Ciononostante, nella memoria collettiva cinese il ricordo del 4 giugno non verrà rimosso, al contrario esso continuerà a vivere come un esempio di lotta per la democrazia e la libertà.
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