Entra ufficialmente nel vivo la stagione elettorale statunitense. O meglio, quella del Partito Democratico, che mai come oggi è in bilico nella scelta dello sfidante a Donald Trump, un nemico spesso sottovalutato. Il tycoon attente alla Casa Bianca gli sviluppi delle primarie del partito concorrente, probabilmente avrà assistito al dibattito impaziente di scoprire chi sarà il suo rivale nella corsa di novembre.
Ovviamente non tutti i candidati democratici potevano salire su quel palco, il biglietto d’ingresso è stato dato solo ai candidati più importanti, la cui rosa si è ristretta a Joe Biden, Elizabeth Warren, Bernie Sanders, Amy Klobuchar, Pete Buttigieg, Tom Steyer e Michael Bloomberg, CEO dell’impero dell’informazione e dei servizi finanziari che porta il suo nome.
Lo sviluppo del dibattito è stato piuttosto inusuale per gli Stati Uniti d’America, potrebbe risultare più familiare a noi italiani. Infatti, gli interventi su temi precisamente politici sono stati ben pochi, mentre a farla da padrone ci hanno pensato frecciatine, attacchi personali, colpi bassi di ogni sorta. Nell’occhio del ciclone i soliti due: Bernie Sanders e Michael Bloomberg.
Sanders poco può fare per esimersi da attacchi durissimi, specialmente ora che è di fatto il front runner per diventare il candidato democratico alle prossime presidenziali. Non è un mistero il suo passato vicino ad ambienti di sinistra radicale. Come se non bastasse, ha espresso più volte pubblicamente apprezzamento nei confronti di apparati ideologici ben poco cari all’opinione pubblica americana. Come il socialismo. Infatti, in un paese come gli USA, che ha vissuto la Guerra Fredda da diretto protagonista, oltre che la stagione del maccartismo, risulta complesso distinguere tra apprezzamento e apologia. Sanders è spesso marchiato, in accezione estremamente negativa come “comunista” (anche dalla sinistra americana) ed utilizza parole molto delicate come “proletariato” o “working class”, per non parlare di “redistribuzione”.
Dall’altro lato, non meno tormentato, c’è il miliardario Michael Bloomberg, l’ultimo arrivato nella corsa al ticket democratico, impegnato a districarsi tra accuse di sessismo per sue dichiarazioni passate e tra quelle di essere la versione “democratica” di Donald Trump. In effetti i profili sono facilmente sovrapponibili: entrambi miliardari, hanno utilizzato le loro risorse finanziarie come strumento per farsi largo in questo mondo, al posto della gavetta, spesso fanno uscite infelici. Difficile non pensare a Donald quando si guarda Michael. Non è un caso che lo stesso Bloomberg, quando era sindaco di New York, fosse iscritto al Partito Repubblicano oggi guidato da Trump. Se dovesse vincere, certamente ci dovremmo cominciare ad abituare ai magnati che si buttano in politica.
Anche l’altra candidata “di sinistra”, Elizabeth Warren, è stata estremamente severa con Sanders, mentre con Bloomberg si può considerare l’accanimento prevedibile. Nel frattempo gli altri candidati restavano in disparte durante i dibattiti tra le superstar delle primarie, per poi scatenarsi e inferocirsi ogni volta che prendevano la parola. Un susseguirsi di schiamazzi e urla che ha fatto trasparire l’impossibilità di unirsi contro un nemico comune, neanche se quel nemico è Donald Trump. Mentre non risulta dal dibattito alcun messaggio politico. Se i democratici vogliono anche solo pensare di vincere devono sicuramente cercare di ricompattarsi. E soprattutto di tirare fuori una proposta politica vera.
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