Sembra una battuta, ma non lo è. Il Parlamento Europeo si trova a dover tirare le fila di un dibattito tanto agitato, quanto inaspettato.
La proposta è di introdurre un emendamento che vieti l’utilizzo di termini generalmente associati ai prodotti di carne, come ‘bistecca’, o ‘hamburger’ a prodotti di origine vegetale, come gli ormai famosi ‘veggie burger’, per capirci. Inoltre, viene richiesto di vietare l’utilizzo di diciture che richiamino l’industria casearia per quei prodotti privi invece di latticini.
Insomma, la proposta è quella di una stretta totale su prodotti vegetariani e vegani.
I detti emendamenti fanno parte di un più vasto pacchetto di proposte agricolturali indirizzate presumibilmente a meglio valorizzare la produzione dei piccoli e medi agricoltori. La principale motivazione alla base dei suddetti provvedimenti risiede nella presunta ingannevolezza dei prodotti vegetariani, invocando lo spettro della pubblicità ingannevole e della manipolazione della clientela. Alle accuse risponde seccamente Jasmijn de Boo, leader del movimento ProVeg, etichettando come “ridicola” la battaglia e sostenendo che i prodotti per vegetariani siano già ben suddivisi da quelli tradizionali.
È Jean-Pierre Fleury il principale sostenitore della battaglia per la rinomina dei prodotti ‘veggie’, che afferma: “Vogliamo solamente che il lavoro di milioni di contadini e allevatori europei sia rispettato.” Era stato proprio Fleury, qualche mese fa, ad indicare i prodotti simil-carne a base vegetale un “dirottamento culturale”.
Per quanto inaspettata la risonanza ricevuta, non era impossibile aspettarsi simili manovre. Il mercato dei prodotti a base vegetale è stato negli ultimi anni uno di quelli in maggior crescita, naturalmente a discapito di certuni altri. Una sentenza del 13 giugno 2017 emanata dalla Corte Europea di Giustizia aveva già vietato l’apposizione delle etichette indicanti diciture quali “latte di soia”, o “burro di tofu”, lasciando tuttavia intatta la categoria dei prodotti simil-carne.
Il tentativo di revanche era dunque presumibile ed ora è arrivato. Tuttavia, l’esito della battaglia è molto incerto. Gli oppositori dell’istanza, che vedono tra i principali nomi imprese come Beyond Meat e Unilever, sostengono che la denominazione dei prodotti aiuti i clienti nell’orientarsi verso il gusto del prodotto.
Inoltre, in un sondaggio condotto nel 2020 dall’Organizzazione Europea dei Consumatori era emerso che il divieto sulle denominazioni era sostenuto solamente dal 25% dei consumatori, a fronte di un 43% che sosteneva che fosse legittimo mantenere le denominazioni allo stato attuale.Tuttavia, la discussione ha ricevuto una visibilità, oltre che inaspettata, esplicitamente criticata da alcuni gruppi. La dura opposizione al pacchetto di manovre è stata attaccata sia sul fronte della necessità di concentrarsi sulla sostenibilità del lavoro agricolturale, sia da alcuni ambientalisti che hanno accusato la discussione di distogliere l’attenzione dalla battaglia sul cambiamento climatico.
Una interpretazione interessante è quella offerta da Alexander Stubb, ex-primo ministro finlandese, che denuncia come l’approvazione della proposta fornirebbe un ulteriore argomentazione alla tesi della sovra-regolamentazione dell’Unione Europea sui mercati, sostenendo invece che la legislazione da parte del Parlamento dovrebbe “limitarsi ad ipotesi in cui vi sia impedimento al libero mercato di beni, servizi e persone.”
In effetti, pare che la battaglia non sia una strettamente necessaria. Nonostante questo, vi sono interessi importanti in gioco, in quanto l’approvazione della proposta avrebbe indubbiamente un impatto considerevole sul mercato dei prodotti a base vegetale. Anche a livello prettamente ideologico, sarà interessante vedere quale sia l’orientamento del Parlamento Europeo. Non ci resta che attendere.
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