Ristretto, schiumato, lungo, al vetro, corto, americano…ci sono infiniti modi di interpretare la bevanda in assoluto più consumata al mondo : il caffè.
E si è voluto dedicare anche una intera giornata per celebrare un rito quotidiano indispensabile per molti: l’“International coffee day”.
Proprio in onore di questa ricorrenza, i “Tram Depot” di Talenti e Testaccio del gruppo Viteculture invitano martedì 1 ottobre a provare gratuitamente il loro assaggio speciale di caffè. I due chioschi della Capitale, infatti, sono rinomati in Italia come punti di riferimento dello specialty coffee che è sinonimo di eccellenza. Per farlo conoscere meglio, in occasione della Giornata, chi si presenterà ai loro banconi, potrà iniziarla nel modo migliore: con un espresso speciale offerta dalla casa. Ogni tazzina servita ai “Tram Depot”, infatti, racconta una storia tutta da conoscere. Ne sono protagonisti le piccole piantagioni del Sudamerica, dell’America Centrale, dell’Africa e dell’India, dove si rispettano l’ambiente e chi ci lavora; il caffè raccolto a mano con il metodo “picking”, bacca dopo bacca, per un risultato più omogeneo; i torrefattori “Le piantagioni del caffè” di Livorno, “Cognetti” di Bari e “Picapau” di Roma, che garantiscano una tostatura capace di dare il meglio in fatto di aromi, producendo un caffè sempre fresco; i baristi come Stefano Cedroni, ovvero dei veri conoscitori e appassionati della materia, che estraggono un caffè di alta qualità. Questo, grazie a una partnership con Faema, che ha rifornito i “Tram Depot” di macinadosatori “on demand” Ground breaker, per conservare gli aromi nobili e importanti del caffè, e della macchina E71e con gruppi separati, controllo e gestione delle preinfusioni. Un dispositivo necessario per una buona riuscita del caffè, visto che ai chioschi vengono usati dei monorigine che variano nelle caratteristiche e vanno quindi trattati in modo diverso.
Siamo andati curiosi ad incontrare Stefano Cedroni dietro al bancone del Tram Depot e a fare quattro chiacchiere per saperne di più.
In Italia siamo famosi per l’espresso, la miscela e come torrefattori. Ma il caffè che ci fanno bere non è sempre il migliore. Come aiutare i clienti a far conoscere i veri sentori di ogni caffè?
Io cerco sempre di proporre caffè con gusti a cui siamo abituati. Per questo il primo step è preparare una monorigine che ha sentori che ricordano l’espresso classico italiano, ovvero che sappia di cioccolato e pan tostato, che sia vellutato, con un buon corpo, mai astringente e con un retrogusto che persiste nel tempo; per il secondo step propongo espressi più complessi, con acidità spiccata e sentori e note che vanno dall’agrumato al fiorito, fino alla frutta fresca.
Il caffè lo bevono tutti, ma quanti sono i veri intenditori in materia?
Per me i clienti sono uno stimolo e una sfida. Portare una persona verso di me e il mio caffè, come lo faccio io, è una soddisfazione totale. Le persone sono abituate all’espresso con lo zucchero. Proporre un caffè monorigine con sentori diversi, magari agrumati, o di bergamotto e miele, e vedere che c’è chi ti ascolta, non lo zucchera e lo beve così, è una soddisfazione incredibile.
Come si riconosce il caffè cattivo?
Non deve essere mai astringente, altrimenti vuol dire che è vecchio, tostato troppo o estratto male. Stessa cosa se sa di liquirizia, gomma o legno bruciati. Sono tutti sentori negativi.
L’acqua è fondamentale…
Deve mantenere una durezza di 9 gradi francesi, la temperatura invece tra i 90° e i 94° gradi centigradi (varia dal tipo di cultivar del caffè utilizzato).
Cos’è il caffè specialty?
I nostri chioschi si riforniscono da torrefattori che usano lo specialty. Ovvero il caffè certificato e di cui conosciamo la tracciabilità. Sappiamo cioè chi lo raccoglie, che tragitto fa, chi lo tosta e chi ce lo porta. Poi sta a noi utilizzare macchinari performanti e i nostri studi, per portare in tazza e, quindi, al cliente un racconto: lo specialty. Se preparo un caffè di questo tipo e non dico niente al cliente, quest’ultimo si ritroverà con qualcosa che non riconosce, creando solo confusione. Per questo accompagniamo sempre l’espresso (o il filter coffee) con il bigliettino illustrativo della torrefazione di provenienza e con una spiegazione a voce di cosa si percepisce al palato.
I tipi di caffè specialty che usate per l’espresso quali sono?
“Yrgalem”, selezione del Sidamo (Etiopia), con note di bergamotto e miele, un’acidità pronunciata e un retrogusto agrumato; “Dambi Uddo” (selvatico etiope di foresta), con fragola all’olfatto, aromi di frutti di bosco e retrogusto di lampone e mela rossa; “Cachoeira da Grama” (Bresile), con sentori insoliti di cioccolato al mandarino candito e una dolcezza inaspettata, che si protrae nel retrogusto di zucchero di canna; “Finca San Luis” (El Salvador), con le note di malto e frutta secca, l’acidità amabile, la dolcezza e il corpo pieno; “CACE Alto Palomar” (tre certificazioni “Bio”, “Fair Trade” e CSC), organico dal Perù, con note di miele, mandorla tostata e tabacco dolce, accompagnate da un corpo rotondo e un’acidità delicata. Dopo averlo consumato, il cacao nel retrogusto è persistente e piacevole. Ancora: “Iridamo” è una combinazione di Yrgalem e una piantagione del Guatemala, ha una forte personalità, i profumi freschi e floreali.
Il caffè filtro (specialty)?
Il primo è un “Machare” (Tanzania) che cresce alle pendici del Monte Kilimanjaro. Viene tostato per l’estrazione con metodi a filtro manuali, grazie ai quali i sentori di lime e arancia gialla e la dolcezza del mandarino si combinano al meglio con l’acidità citrica e il retrogusto agrumato. Ma c’è anche il “Buenos Aires” (Nicaragua), tostato anche esso per l’estrazione con metodi a filtro manuali. Qui, vengono esaltati gli aromi caldi di frolla al cioccolato e peperoncino, la piacevole acidità, e i sentori di chinotto.
Il processo del caffè specialty
Per quanto riguarda la filiera partiamo da piccole piantagioni (non intensive, quindi, quelle in cui si sfruttano il terreno e l’operaio). Le persone lavorano la terra in piantagioni sostenute dalla torrefazione o da altri enti (non guadagnano poco come gli altri, che vengono sfruttati con un mensile che è l’equivalente del costo di un pacchetto di sigarette). Nessuno è sfruttato, tanto meno i bambini, le donne e gli anziani. La coltivazione è a basso impatto ambientale (non si usano pesticidi o macchinari che deturpano il terreno). Il caffè è raccolto a mano, quindi la selezione – che è importantissima – è accurata: non ci sono frutti acerbi, troppo maturi o andati a male. Il metodo è quello del “picking”: la raccolta bacca per bacca. Costa un po’ di più ma il risultato è migliore, omogeneo. Ecco perché la nostra lotta (parla Stefano) è far alzare il prezzo del caffè al bar, perché con 70 centesimi cosa ci beviamo? Molti baristi come me tengono molto alla parte etica del lavoro e sappiamo bene che con 70 centesimi si rischia di bere un caffè raccolto vecchio, di bassa qualità, proveniente da piantagioni intensive dove viene sfruttato il suolo al massimo, come anche le persone e gli animali. Tornando allo specialty, raccolto il caffè c’è la lavorazione del verde. Poi si arriva alla fase in cui il caffè raggiunge la torrefazione: questo è il luogo dove nascono i profumi del caffè attraverso la tostatura, che lo rende edibile (friabile) e gli fa sprigionare gli aromi che vogliamo portare in tazza. Le torrefazioni che usiamo sono quella di Livorno “Le Piantagioni del caffè”, “Cognetti” di Bari e “Picapau” di Roma. Ai Tram Depot si usano caffè monorigini (provenienti da una sola regione o azienda), ma anche delle combinazioni o microblend (fino a tre origini miscelate). Il caffè lo estraiamo in espresso con una macchina performante e innovativa Faema, la E71e con gruppi separati, controllo e gestione delle preinfusioni per una buona riuscita dei vari caffè. Poi c’è il “Faema Ground breaker”, un “macinadosatore on demand”, ovvero che macina il fresco, solo quello che serve in quel momento, perché il caffè macinato, passati dieci minuti, è finito (sono cioè volati via tutti gli aromi nobili e importanti). Questi macinadosatori inoltre fanno una granulometria perfetta e hanno una ventola interna che mantiene il caffè a una temperatura di circa 20° gradi, cosicché non si brucia, e svuota la camera per non avere macinato residuo. Poi il caffè macinato viene messo nel porta filtro e pressato adottando una pressione di circa 20 kg. Alla fine, deve venire fuori un “biscotto di caffè”. Solo se il risultato è raggiunto, lo si estrae: 25 ml di caffè espresso (con temperatura intorno ai 90° gradi) finiscono in tazzina, che deve mantenere il calore (il caffè si beve caldo), e quindi è ideale la porcellana smaltata (con il vetro si perde calore).
L’orzo del Tram Depot
Non è il classico liofilizzato. Si usa il cereale preso, tostato e macinato grosso. Viene inserito in un filtro di carta versando acqua dall’alto, poi l’acqua attraversa l’orzo e scende in tazza. È diverso, non è corposo come il liofilizzato, ma ha un sapore nettamente migliore. È biologico, arriva dall’azienda agricola “Casino di Caprafico” vicino Chieti.
Il caffè americano del Tram Depot
Nasce in Italia con gli americani del Dopoguerra che, al bar, allungavano l’espresso con l’acqua calda. Al Tram Depot non si fa il caffè americano, bensì il filter coffee o caffè filtro. È un caffè tostato più chiaro rispetto all’espresso e ha più caffeina (perché il caffè filtro sta più a contatto con l’acqua calda).
I metodi per il caffè filtro?
Il metodo V60 è il più bevuto al mondo e sfrutta il principio della percolazione con un filtro di carta posizionato all’interno del dripper (tazza bucata) dove va messo il caffè macinato, più grosso dell’espresso. L’acqua, a basso residuo fisso e a 96 gradi circa, si versa creando una turbolence (cerchi). Si tratta di un caffè “da meditazione”, per degustarlo ci vuole tempo, per dare tempo alla bevanda di maturare. Per il filter coffe viene usato il “Caffè Machare” (Tanzania), il “Buenos Aires” (Nicaragua), i caffè di Cognetti e Picapau (Brasile, Colombia, Etiopia). Oltre al metodo V60, i caffè filtro hanno altri due metodi di estrazione: il Syphon e la French press. Il Syphon ricorda uno strumento alchemico e sfrutta il principio di decompressione: sono due globi sovrapposti dove nella parte inferiore va messa acqua e nella superiore il caffè; i due sono separati da un filtro metallico, di carta o di panno, collegato al globo inferiore con una catenella che aiuta sia a non far entrare polvere, che a drenare l’acqua in ebollizione nel globo superiore. Poi si andrà a mettere su una candela o su una lampada per riscaldare l’acqua che passerà nel globo superiore per unirsi al caffè. Terminata l’estrazione, si procede con la degustazione della bevanda. È un metodo tutto da guardare perché scenografico. La French Press (caffetteria francese), che poi è stata inventata in Italia, sfrutta il principio della macerazione: si inserisce il caffè macinato, si fa la preinfusione di un minuto, e si continua versando altra acqua lasciandolo macerare per due minuti; in seguito si spinge il filtro (il pistoncino) per trattenere il caffè nel basso e viene versata la bevanda. È un caffè più corposo con una sensazione tattile maggiore.
La bevanda inedita che lancerai per l’International coffee day?
Un cocktail a base di espresso specialty chiamato “Fermento al Tram”: sono 3 cl di Vermouth rosso (Punt e mes), 3 cl di bitter campary, 2,5 cl di espresso della Finca San Luis (El Salvador), top di Kombucha di caffè (della Finca San Luis), che è un fermentato di caffè e per finire perle di filter coffee della Finca Buenos Aires (Nicaragua), un’esplosione di caffè in bocca. Tutti i caffè provengono dalla torrefazione Le Piantagioni del caffè di Livorno.
Buon Caffè!
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