Sono appena passati Sessanta anni dalla famosa “Legge Merlin”, approvata dal Parlamento italiano nel mese di febbraio del 1958 ed entrata in vigore nello stesso anno il 20 settembre dopo varie peripezie. Ebbene sì, la Senatrice socialista Lena Merlin ha lottato tanto – dieci anni – per ottenere l’approvazione di questa legge che ha abolito la regolamentazione della prostituzione in Italia e di conseguenza ha imposto la chiusura delle case di tolleranza o case chiuse. L’intento della Senatrice, in realtà, non era quello di arrivare all’abolizione della Legge del 1883 che imponeva la prostituzione sotto il controllo dello Stato, ma quello di far valere i diritti civili delle donne e l’emancipazione femminile in un periodo in cui l’allora Ministro degli Interni Mario Scelba vietava l’uso del bikini sulle spiagge italiane (1948) e il pilastro del conformismo italiano era ancora il triangolo Uomo-Moglie-Amante.
Se ci pensate nel famoso libro di Tomasi di Lampedusa “Il Gattopardo” nelle prime pagine viene descritta la scena di una famiglia riunita rigorosamente per cena alla fine della quale il capo famiglia, Principe Fabrizio Salina, saluta tutti e bacia la moglie (consapevole del dopocena del marito) per andare in un bordello. Era un comportamento naturale, faceva parte del costume dell’epoca. Ovviamente la Legge Merlin fu allora, come oggi, di fronte a dibattiti di opposta fazione. Subito dopo l’approvazione della legge, Pier Paolo Pasolini seguì un’inchiesta dal titolo Comizi D’Amore nella quale è documentato il malcontento riguardo la legge non solo di uomini operai giovani e meno giovani, ma anche di prostitute in diverse città di Italia da Nord a Sud. Ora a distanza di 60 anni mi domando, ma è davvero cambiata la situazione delle prostitute nel nostro Paese? Sicuramente dal punto di vista dei diritti civili lo è (pensate che fino all’abrogazione della Legge del Governo Crispi le donne che lavoravano nelle case chiuse venivano inserite in una lista e quindi “etichettate” per quello che erano e le conseguenze del loro lavoro ricadevano anche sui loro figli e parenti come se fossero degli appestati), ma la prostituzione è ancora molto diffusa e per la legge di mercato se c’è offerta è perché c’è domanda quindi riconoscere e legalizzare la prostituzione potrebbe forse tutelare e proteggere un po’ di più chi quel mestiere si ritrova a fare….
Leggiamo però ora, senza false ipocrisie, queste tristi storie. Le ragazze che si vedono a tutte le ore del giorno e della notte ai lati delle strade mettono tanta angoscia. Può essere diventato per loro un lavoro come un altro, vendere il corpo? Il corpo come strumento. Il sesso come mezzo. Certo non per tutte è così. Non è sempre stato così.
Uno Stato che permette la mercificazione di ragazzine, donne su strade si può definire Civile (già parlare di civiltà quando c’è prostituzione non è un discorso molto coerente, ma si sa che è una realtà, e resisterà a tante parole)? Forse è meglio allora regolarizzarla all’interno di Case Chiuse. Così forse si potrebbe garantire più sicurezza, igiene, minor sfruttamento? Gli occhi ottimisti auspicherebbero che oltre ad una fatturazione degli incassi e le tasse pagate, potrebbe esserci una migliore cura del corpo e dell’ambiente, un controllo igenico-sanitario, tutto potrebbe essere meglio gestito.
Cambiare per non vedere più le ragazzine sfruttate, morire di freddo in strada. Un registro di “accompagnatrici” maggiorenni, Professioniste, per risparmiare tante malattie e permettere un controllo sanitario adeguato.
Il dibattito è aperto, lasciate pure commenti… Il lavoro più antico del mondo avrebbe così una collocazione legale, anche nel nostro paese. Ma sarebbe davvero così?
Zagor & Agrumi
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