A seguito delle proteste scatenate in Iran dalla morte di Mahsa Amini, il tribunale di Teheran ha condannato a morte, per la prima volta, una persona accusata di aver preso parte alle manifestazioni.
Il 16 settembre la ventiduenne curda Mahsa Amini ha perso la vita nell’unità di terapia intensiva dell’ospedale di Kasra, dopo due giorni di coma. La giovane è stata fermata a un posto di blocco dalla polizia morale, un corpo delle forze dell’ordine iraniano istituito nel 2005 con il compito di arrestare le persone che violano il codice di abbigliamento.
Mahsa Amini era stata presa in custodia poiché non indossava l’hijab, uno dei veli islamici, in maniera conforme alle norme della legge del Corano, la Sharia, lasciando intravedere una ciocca di capelli.
I tumulti nati a seguito alla sua morte hanno pervaso l’intero Paese provocando all’incirca 140 scontri tra villaggi e città. Secondo l’organizzazione Human rights activists news agency sono stati oltre 15 mila gli arresti e oltre 300 le persone che hanno perso la vita. In questi due mesi di proteste l’Iran ha assistito a scene che non aveva mai visto prima, donne che si sono tagliate i capelli in piazza o hanno dato fuoco alle loro hijab.
Era dalla precedente rivoluzione del 1979 che trasformò la monarchia del paese in una repubblica islamica sciita, che l’Iran non assisteva a nulla di simile.
Nelle ultime settimane sono iniziati i processi ma il numero degli arresti nei mesi precedenti preludeva il pugno di ferro messo in atto dalle autorità iraniane.
Dopo i numerosi appelli per l’attuazione di dure pene nei confronti dei dissidenti, il tribunale di Teheran ha condannato a morte, per la prima volta, un manifestante. La sua identità non è stata rivelata, secondo il tribunale della rivoluzione la colpa sarebbe quella di aver appiccato fuoco a un palazzo del governo, turbato l’ordine pubblico e cospirato per commettere un crimine contro la sicurezza nazionale, il tutto definito un “peccato contro Dio”.
Migliaia di altre persone sono sotto processo e la paura che queste possano ricevere la stessa sentenza spaventa le Nazioni Unite.
Secondo un gruppo di attivisti norvegesi per i diritti umani che monitorano la situazione in Iran ci sono circa 20 persone che potrebbero essere condannate alla stessa sorte.
Di fronte al pugno di ferro, l’Onu era intervenuto già nel mese di ottobre imponendo il divieto di viaggio e il congelamento dei beni a 15 persone e istituzioni iraniane legate alla morte della giovane donna e alla repressione delle proteste.
Nel corso del Consiglio degli Affari Esteri, tenutosi nella giornata di ieri a Bruxelles, I ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno deciso di imporre nuove sanzioni all’Iran. È stato varato un secondo pacchetto con misure restrittive per altri individui, in base al nuovo regime sanzionatorio Ue per la tutela dei diritti umani.
Ai cittadini e alle imprese dell’Unione Europea è stato posto il divieto di mettere fondi a disposizione delle persone fisiche e giuridiche quotate. Le sanzioni comprendono infine il divieto di esportazione in Iran di apparecchiature che potrebbero essere utilizzate per la repressione interna e di apparecchiature per il monitoraggio delle telecomunicazioni.
Si preannuncia che nel Consiglio di dicembre potrebbe esserci una nuova tornata di misure contro Teheran. In totale ora le sanzioni riguardano 126 persone e 11 entità.
“Consigliamo agli Stati europei di evitare di utilizzare i diritti umani come strumento e agire nel quadro della diplomazia, poiché le sanzioni sono le carte bruciate che non funzionano in questo Paese”, così si esprime il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanani prima del Consiglio Affari Esteri a Bruxelles e aggiunge “Non gli permetteremo di interferire e daremo una risposta adeguata e necessaria”.
Quel che resta da capire è se si tratti di una sorta di monito che il governo vuole mandare ai manifestanti o se effettivamente siano pronti a portare avanti questa decisione.
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