Luiz Inàcio Lula da Silva è nuovamente un uomo libero. Dopo l’ottenimento della libertà fisica a marzo 2019, viene prosciolto da tutte le accuse in via definitiva, ottenendo anche la libertà giuridica. Trionfa l’innocenza di colui che è stato soggetto ad un processo che in molti considerano una totale farsa e che lascia un grosso numero di questioni da chiarire, in attesa che il ruolo di Sergio Moro, Bolsonaro e degli Stati Uniti d’America vengano esaminati attentamente.
Lula era stato arrestato nel 2018, al termine dell’inchiesta Lava Jato, maxi operazione di polizia giudiziaria volta a scoperchiare un larghissimo giro di tangenti nel mondo politico che vedeva l’intrusione nelle vicende di palazzo del colosso Petrobras. Virtualmente senza alcuna prova, l’ex presidente del Brasile era stato condannato in primo grado a nove anni e mezzo di reclusione, addirittura aumentati a dodici anni in secondo grado, per aver accettato tangenti per oltre 3 milioni di reais (attorno al milione di euro), con l’accusa dunque di corruzione.
Tale accusa aveva di fatto tolto di mezzo Lula, candidato massicciamente favorito, dalla corsa alle elezioni presidenziali del 2018, poi vinte dall’attuale presidente Jaìr Bolsonaro. Il giudice dell’indagine ed emissario della sentenza era stato Sèrgio Moro, che diventerà ministro della giustizia sotto il comando di Bolsonaro, scatenando prevedibili accuse concitate di parzalità. Il ruolo conferito da Bolsonaro a Moro è peraltro una sorta di attribuzione del tutto nuova, una sorta di super-ministero, al quale è attribuita la competenza assoluta sul corso della legge, riunendo in capo ad un unico soggetto la fase investigativa, di imposizione della legge e di sorveglianza successiva, precedentemente suddivise in diversi ministeri.
Il 7 marzo 2021, tuttavia, è intervenuta la sentenza definitiva del Tribunale Supremo del Brasile, che ha considerato l’impianto probatorio utilizzato come inadeguato a sostenere l’accusa, e che dunque ha sancito l’assoluzione di Lula da tutti i capi d’accusa. Ora, l’ex presidente è pronto a ritornare in pista contro Bolsonaro per le prossime elezioni del 2022.
Rimane il rimpianto per il tempo perso, per i danni prodotti sotto la furia simil-fascista di Bolsonaro, che è costata 12 milioni di ettari di Amazzonia bruciati solo nel 2019, che è costata la repressione di indigeni, la vergogna della comunità omosessuale costretta a sopportare una discriminazione costante. Tutto per via di un’accusa infondata e per una sentenza emessa da uno degli uomini più fedeli di Bolsonaro, che si fregia di rivestire il ruolo di eroe nella guerra alla corruzione in Brasile.
Per il nostro paese non paiono nuove queste vicende e si sentono limpidi gli echi della vicenda Craxi, rispetto alla quale può però cambiare il finale. Lula è pronto a riprendere il processo di crescita brasiliano e pronto a ripristinare i diritti umani persi negli ultimi anni. Pare che le dichiarazioni di Lula siano state: “candidabile non significa candidato”, ma rimane il fatto che, nonostante i 75 anni compiuti d’età, una ridiscesa in campo per il proprio paese sia ad oggi l’opzione più realistica. Ci sarà un po’ di tempo per prepararsi, eventualmente, visto che di scendere in pista per la campagna per circa un altro anno non se ne parla.
Per completezza dell’esposizione, va specificato che l’accusa a Lula è poco limpida, ma allo stesso modo non è tutto limpido quello che accade nelle file del Partido dos Trabalhadores (PT), il partito dal quale proviene. L’ex braccio destro di Lula, José Dirceu, ha appena finito di scontare la condanna a 7 anni per una precedente vicenda di corruzione che coinvolse anche lo stesso Lula. Se non altro, l’innocenza giuridica certamente potrà portare maggior chiarezza e, ora, la principale notizia che si attende è l’ufficialità della ridiscesa in campo di quello che sarà, eventualmente, il principale rivale di Bolsonaro alle prossime elezioni.
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