Inclusa in un pacchetto di riforme del sistema giudiziario, la proposta del leader politico turco Erdogan di reintrodurre il cosiddetto “matrimonio riparatore” sta suscitando forti proteste e indignazioni da parte di una grande porzione della popolazione e delle Organizzazioni a tutela dei diritti delle donne. Questa stessa situazione si era già presentata nel 2016, quando Erdogan presentò per la prima volta in Parlamento la legge sul matrimonio riparatore. In quel caso le manifestazioni di dissenso furono sufficienti a non far approvare la riforma. Il tempo ci dirà se anche questa volta le pressioni popolari avranno l’impatto desiderato sul Parlamento turco.
Al fine di comprendere a pieno il significato che questa normativa porterebbe con sé, risulta necessario ricordare in cosa consista il matrimonio riparatore ed il perché esso sarebbe uno spaventoso passo indietro nel percorso verso il pieno riconoscimento e rispetto dei diritti umani, allontanando ulteriormente dunque la Turchia dal concetto di Stato di Diritto.
In poche parole, il matrimonio riparatore rappresenta una causa di estinzione del reato di stupro attraverso la celebrazione del matrimonio tra autore della violenza e vittima.
Questa previsione, presente addirittura nella Bibbia, appare concepibile in un contesto in cui si ritiene la violenza carnale essere un’offesa contro l’onore piuttosto che contro la persona, concezione oramai superata da tempo nei paesi occidentali.
In Italia, per esempio, la legge che ammetteva la possibilità di contrarre il matrimonio riparatore fu abolita nel 1981, anche se lo stupro continuò ad essere formalmente classificato tra i delitti contro la morale fino al 1996. A questo riguardo, non si può sorvolare sul nome di Franca Viola, essendo stata lei la prima donna, nel 1966, a rifiutarsi di sposare il suo rapitore e stupratore, il quale di conseguenza scontò circa dieci anni di detenzione. Ad oggi quel gesto, allo stesso tempo normale ed eroico, viene ancora riconosciuto come una tappa fondamentale per l’emancipazione della donna.
Ritornando all’odierna situazione turca, la proposta avanzata da Erdogan andrebbe dunque a rilegittimare il matrimonio riparatore, con la sola condizione che non vi siano più di dieci anni di differenza d’età tra la vittima e l’autore del delitto.
Tutto ciò dunque arrecherebbe un preoccupante peggioramento della condizione del genere femminile, in quanto provocherebbe, nella sensibilità comune, una diminuzione del disvalore penale e della riprovevolezza del delitto di violenza carnale, sminuendo ancor di più la già di per sé precaria posizione della donna nella società.
Inoltre, la norma in questione avrebbe come ulteriore effetto quello di “normalizzare” le innumerevoli situazioni di fatto presenti in alcune zone della Turchia, soprattutto quelle rurali dell’Anatolia, in cui non si fatica affatto a trovare casi di spose-bambine, ossia le ragazze che contraggono matrimonio prima dei sedici anni, l’età minima prevista attualmente dalla legge. Secondo i dati raccolti dal Chp infatti, nell’ultimo decennio il numero delle spose-bambine in Turchia ammonterebbe a circa mezzo milione, con il plausibile rischio che ve ne siano molte di più di cui non si è a conoscenza, a causa della mancanza di qualsivoglia registrazione o certificazione.
Queste statistiche non devono sorprenderci più di tanto, poiché la maggior parte di questi matrimoni contra legem viene celebrato non davanti a pubblici ufficiali rappresentanti dello Stato, bensì al cospetto delle autorità religiose che, soprattutto nei territori più lontani dalle metropoli della nazione, non si rivelano troppo sensibili ai principi ed agli insegnamenti del diritto laico.
I moti di protesta delle associazioni e della parte di popolazione contraria alla riforma continueranno, con l’auspicio che anche stavolta, proprio come quattro anni fa, l’irragionevole proposta di Erdogan venga bloccata sul nascere, così da evitare un triste aumento delle violazioni dei diritti fondamentali, violazioni alle quali il governo turco non è affatto nuovo.
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