Nella serata di ieri, il Presidente della Repubblica Mattarella ha affermato, in diretta televisiva e dopo aver concluso le consultazioni di rito, il fallimento del tentativo di trovare una nuova maggioranza per un Conte-ter. Il mandato esplorativo affidato al Presidente della Camera Roberto Fico è infatti risultato in un nulla di fatto, vista l’ostilità da parte di Italia Viva. Sarebbe stato ad ogni modo quantomeno curioso se il partito di Renzi avesse deciso di offrire appoggio ad un governo sostanzialmente identico a quello fatto cadere.
Mattarella ha poi affermato come, preso atto dell’impossibilità di ricostituire una maggioranza, le due strade che apritesi consistevano nell’istituzione di un governo istituzionale, o “tecnico”, oppure con il ritorno alle urne per le nuove votazioni. Ha successivamente argomentato che, in ragione dell’urgenza delle scelte che l’Italia è chiamata a compiere, l’opzione dell’attesa di 5/6 mesi per la formazione di un governo regolarmente eletto risultava un rischio troppo alto per poter essere intrapreso.
Si specifica per chiarezza, che, nel caso di decisione per l’instaurazione di un nuovo governo regolarmente eletto, nella fase di attesa, l’esecutivo temporaneo non è legittimato a compiere atti al di fuori dell’ordinaria amministrazione e dunque sarebbe stato assolutamente inadeguato ad affrontare gli imminenti impegni.
Inoltre, il Presidente della Repubblica ha anche fatto riferimento al pericolo connaturato alle varie fasi preparatorie alle elezioni, nei termini delle inevitabili situazioni di aggregazione che caratterizzano la fase di campagna elettorale, le quali sarebbero alquanto inadeguate al periodo storico che si sta vivendo.
Per questi motivi, infatti, la scelta è ricaduta nella nomina di un governo tecnico, alla guida del quale è stato scelto Mario Draghi, ex presidente della Banca Centrale Europea (BCE), della quale è stato al vertice dal 2011 al 2019. La scelta di Mattarella è stata certamente motivata anche dall’altissima considerazione che riceve Draghi a livello europeo, al quale si associa la famosa frase “whatever it takes”, con la quale nel 2012 indicò che la BCE avrebbe fatto qualunque sforzo necessario per salvare l’euro. Seguì la nascita del meccanismo del quantitative easing, tramite il quale alcuni dei paesi al tempo in maggiore difficoltà economica, tra cui l’Italia, ricevettero grandi contributi in termini di liquidità.
A Draghi si associa anche il concetto dell’indebitamento di Stato come male immaginario, nel momento in cui il debito venga usato per investimenti produttivi e innovativi. Su queste basi, era quasi scontata la scelta dell’individuo a cui affidare la guida del paese, considerato che il primo grande impegno consisterà proprio nella predisposizione di un piano di investimenti dei fondi del NextGenEU (noto come Recovery Fund).
Draghi, secondo le usanze “di corte”, ha accettato con riserva. Ciò essenzialmente significa semplicemente che per l’affermazione del Governo sarà necessario passare per il voto di fiducia in Parlamento. Se il PD ha già aperto alla fiducia, così come gli altri partiti del centrosinistra e dei gruppi misti, si attende di vedere quale sarà la scelta di M5S, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia.
La verità è che la scelta di una guida così d’alto profilo presenta il rischio di spezzare vari fragili equilibri di potere generatisi con difficoltà durante i due governi Conte. Da un lato, la prolungata presenza al Governo del Movimento 5 Stelle ha indubbiamente tamponato il sentimento antipolitico che formava uno dei principi cardine del partito, mentre dall’altro lato, tale sentimento non può dirsi del tutto diradato, rischiando di dividere dunque il partito tra sostenitori di Draghi e sostenitori dell’orgoglio incondizionato.
Tra le file della coalizione del centrodestra, invece, al di là del mantra ripetuto allo sfinimento da Salvini & The Melons riguardo al ritorno alle urne, filtra uno spiraglio di speranza in quanto i due partiti più sovranisti non escludono a priori di concedere la fiducia e si riservano di decidere dopo il vertice tra Draghi e il centrodestra. Da Forza Italia, invece, sembra avanzare una chiara intenzione, da parte dell’ala più europeista del partito, di volersi svincolare dal sovranismo dei colleghi di coalizione ed è proprio qui che potremmo vedere altre spaccature, come anche nelle frange più ragionevoli del partito di Salvini, con, tra i tanti, un Giorgetti che viene difficile immaginare contrario alla figura di Draghi.
Dunque, potrebbe esservi un rimescolamento di carte notevole e si attende di vedere cosa filtrerà nei prossimi dalle aule di palazzo Chigi, per capire se Mario Draghi sarà o meno il nuovo Presidente del Consiglio italiano.
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