La generazione dei genitori attuali è quella che ha vissuto la propria gioventù nella cosi-detta “Via di mezzo”. Via di mezzo tra i Tempi Moderni e le generazioni Tradizionaliste di coloro nati tra gli anni cinquanta e sessanta. Una generazione che ha vissuto le trasformazioni del concetto stesso di famiglia, con il divorzio, l’aborto e ancor prima l’emancipazione della donna. Noi nati tra la fine degli anni sessanta e fine anni settanta che viviamo oggi l’esperienza di genitori, siamo molto differenti da coloro che ci hanno preceduto. Diciamo che fattori logistici, trasferimenti e scambi culturali in un Italia in crescita ha portato quelli che oggi, (se ci sono ancora) sono nonni, a una serie di trasformazioni della propria vita.
La crescita della società degli anni sessanta e settanta ha fatto si che i figli dei migranti, ma anche della gente di ceto medio basso, potesse finalmente andare a scuola, all’Università. La crescita ha permesso – non più solamente – a chi proveniva da famiglie Benestanti, di studiare e poter accedere a ruoli ai quali i genitori non avrebbero mai potuto neppure immaginare. Le soddisfazioni furono tante, ci fu una vera e propria Vittoria per molti. Arrivare ad un tale livello, considerando l’origine, fu una vera rivincita. E questi figli inconsapevolmente erano strumento ma anche simbolo di un amore e di un Arrivo. La conclusione di un tragitto faticoso ed impervio. Ora questi figli sono uomini, che pur apprezzando lo sforzo dei genitori hanno per così dire dimenticato le origini. Hanno perso il contatto con la terra, con il sacrificio e con il rigore.
Il rigore, il rispetto, la disciplina, concetti antiquati o fuori moda con l’anarchia che vige oggi nelle moderne famiglie. Non c’è più il padre padrone (per fortuna) ma neppure la figura da rispettare che imponeva delle regole. Le famiglie non sono più composte così come le conoscevamo, non ci sono più figure stabili e riferimenti certi. Tutto varia e variano anche i rapporti. Oggi i nostri genitori (nonni) non accettano la mancanza assoluta di rigore e di regole, della disciplina.
Quel genitore non sapeva giocare coi figli, ma portava le scarpe nuove comprate allo spaccio del dopolavoro, regalava una mela al rientro a casa, ma era amato e rispettato aldilà della sua pretesa. Questo oggi non è più richiesto da nessuno, se non in uno strillo seguito da ingiurie e poco più. Nessuna punizione o limitazione. Giusto o sbagliato?
La nostra generazione di figli abbastanza coccolati, che non hanno fatto grossi sacrifici, sono una società di pessimi severi genitori. Non pessimi genitori sia ben chiaro. Siamo permissivi. Facciamo fare ai figli ciò che vogliono, parlare quando vogliono, alzarsi, portare i giochi in tavola e li giustifichiamo sempre anche con noi stessi, con appellativi idioti e una risata. Perdiamo così da parte loro ogni minima forma di timore reverenziale e se non il rispetto, quel qualcosa che faceva scattare (a me) ad ogni strillo. A scuola li giustifichiamo in tutto e per tutto prendendocela con le maestre (peggiorando anche lì i principi propri del riconoscimento dell’Autorità e della disciplina).
La nostra generazione di pessimi severi genitori ci ha fatto scoprire l’amore smisurato per i figli, un tempo beneficio esclusivamente delle mamme e delle nonne. Oggi noi papà abbiamo la fortuna di far giocare i nostri figli con i nostri giocattoli, vedere i film che vedevamo noi da bambini e riuscire a condividere molte cose impensabili un tempo per generazioni così distanti.
I figli si fanno quando si è più grandi, ma l’essere ancora bambacioni fino a tarda età aiuta nel rapporto con ragazzini e ragazzine.
C’è però nuovamente un’altro punto di vista che ci riporta inevitabilmente a riconsiderarci e valutarci in senso non positivo. Tutto il nostro permissivismo, tutto il nostro sorridere, tutto questo agevolare aiuta a creare persone mal disposte verso i sacrifici personali. Aldilà dell’indole i figli di oggi sono meno propensi ad ascoltare genitori che non possiedono il Carisma. L’essere amico dei figli fa male ad entrambi. I genitori attuali sono si presenti ma molto spesso distaccati, per il lavoro, presi loro stessi dal mondo dei social, dai propri hobby o dagli amici. I figli si rifugiano a loro volta con i sistemi messi a loro disposizione nel mondo virtuale e comunicano con i loro pari-età (nella migliore delle ipotesi) perdendo il dialogo all’interno della famiglia e isolandosi sempre di più. Si crea un muro difficilmente recuperabile.
“La chiusura al mondo esterno alla logica del nostro tempo, allo stress (che poi è sempre stato presente ma lo si sapeva affrontare), ha fatto nascere la denominazione della sindrome di Hikikomori che presenta quei sintomi di malessere ben riconoscibili: avversione per la società, fobia scolastica e fuga nella Rete. La Depressione, la malattia del secolo, crea incapacità di relazione, continue lamentazioni su di sé e, nella sua sofferenza, c’è una forte componente di senso di colpa. Nella Hikikomori, invece, il sentimento prevalente è la vergogna. Si vive come un fallimento la distanza tra il mondo che si è immaginato e previsto per sé e quella che invece è la realtà: tanto più grande è la distanza tra la realtà che si era idealizzata e quella vera, tanto più grande sarà la vergogna che si prova. La Rete è vista come un’ancora, dà risposte e aiuta a costruire legami senza troppi pericoli e senza metter in gioco il corpo. Internet è oggetto di discussioni per la esistenza parossistica tra Hikikomori e web e la ricerca tra causa ed effetto della malattia. I ragazzi stanno male e non reggono il peso del confronto e della continua aspettativa che arriva dalla cultura contemporanea; una volta che ci si è reclusi in casa, la Rete è oggettivamente un posto bellissimo dove andare, potenzialmente infinito e pieno di stimoli, in cui crearsi una vita fuori dalla vita”.
Ecco ci mancavano queste problematiche, queste malattie ancora più indecifrabili per renderci il lavoro difficile.
Per quanti sacrifici, per quante parole spese, per quanto tempo dedicato, una società che impone tali droghe elettroniche, l’utilizzo di smartphone e wii e playstation è una società destinata all’isolamento dalla realtà o al non avere percezione di ciò che è reale. I figli di oggi prendono (ciò che per loro è dovuto) ma spesso non ricambiano con affetto e apprezzamento. Non è una critica assolutista, ma una concretizzazione del contesto percepito.
Molti di questi fenomeni rientrano col crescere. Quando si scontreranno con la vita vera, col mondo del lavoro, delle malattie e dei soldi necessari per sopravvivere. Realizzando che l’illusione non può durare per sempre o si rialzano o finiscono male.
La cosa più triste è che proprio noi che veniamo da una storia in cui cercavamo sull’enciclopedia le cose, le copiavamo e così le memorizzavamo, abbiamo cominciato per primi a copiare e incollare. Noi che telefonavamo una volta alla sera alla nostra ragazzina, ora perdiamo ore intere a telefonare a tutto il mondo o ancor peggio a whatsappargli. Noi che amavamo andare in campagna coi nonni a raccogliere i pomodori o a prendere dalle galline le uova, spesso non sappiamo neppure raccontare come si fa il formaggio e lo cerchiamo su internet.
E poi arriva quello con quel suo sorriso da birbante, la cioccolata tutta intorno alla bocca, tutto sudato e sporco di sabbia del mare che mi chiede 50 cent per il biliardino. E io glieli do. Forse è uno sbaglio, ma poi ci gioco, come facevo con mio padre – per ore – e con lui pure se non mi parlava sapevo che c’era e ci potevo contare. Quando sbagliavo mi fulminava con lo sguardo, ma c’era. Ora invece molti si rilassano, guardano su facebook cosa è successo all’ amico virtuale di cui non sanno nemmeno quando ride che espressione abbia. Non hanno tempo per seguire i figli e li piazzano anche sotto il sole con la nintendo o il cellulare in mano.Allucinante.
I nostri figli sono come la società li trasforma, con i costumi che assorbono. Ma se li disintossicassimo e di tanto in tanto e lo facessimo anche noi, potremmo ristabilire rapporti umani e veri e riapprezzarci per come stiamo assieme. Una bella chitarra, un buon libro, giocare a bocce e schizzarci nel mare. La sera sul letto parlare e farci raccontare e forse togliendo un po’ di “Fuori”, potremmo riscoprire ciò che di veramente bello unico e irripetibile… e per poco… ci è concesso “dentro” le nostre case.
I figli sono “in prestito”, poi se ne andranno, ma se il solco è stato fatto bene e il seme è stato ben piantato e radicato, annaffiato, raddrizzando il tronco tenero (come diceva mia nonna), togliendo i rami secchi e pulendo la pianta, la pianta crescerà e darà nuovi frutti e sarà una grande soddisfazione. Sarà bello aspettare che arrivino, tornino, chiamino per raccontarci e ridere assieme…
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