Porto Rotondo, vicino alla Costa Smeralda – C’è da chiederselo sempre più spesso. I fatti di cronaca ci parlano di genitori che procreano bambini, ma poi non li amano, anzi usano su loro violenza fisica o morale, torture fisiche, segregazione, isolamento.
Il figlio è un gesto d’amore, (può essere un errore di gioventù), ma che comunque se accettato, per scelta, merita attenzioni, cure e rispetto e regala sorrisi indescrivibili, tenerezza unica, pensieri, preoccupazioni, ma un amore insostituibile, unico e irripetibile.
Troppo facile approfittarsi di chi più piccolo e debole, e comunque, malgrado tutto ama.
Stavolta però Polifemo è stato abbattuto da un piccolo “Ulisse” che ha usato (involontariamente) uno smartphone.
“Ulisse” è stato un bambino intelligente che in una condizione assurda, ha posto fine, a 11 anni, ad una situazione inaccettabile, della quale probabilmente non aveva neppure consapevolezza.
Nessuno era a conoscenza della sua condizione di segregazione, violenza fisica e morale. Lui viveva chiuso in casa, in camera, al buio, senza contatti con l’esterno. Un secchio per gabinetto. Raccapricciante è dir poco considerando che stiamo parlando di persone di un certo livello che vivevano in una villetta con discrete possibilità economiche.
E’ successo che utilizzando un cellulare senza scheda SIM, “Ulisse” è riuscito a comporre un numero di emergenza, il 112 per cercare di contattare la zia. Il Carabiniere che ha risposto, ha capito dalle parole del bimbo, la situazione e che non si trattava di uno scherzo, e ha inviato sul posto una pattuglia. I militari hanno prima liberato il bambino e poi cercato i genitori che si trovavano effettivamente ad una festa. Quel comportamento non era una novità.
Era una casa degli orrori la villetta dove il bambino di 11 anni veniva tenuto segregato dai genitori. Quando i carabinieri del Reparto territoriale di Olbia, guidati dal colonnello Alberto Cicognani, sono arrivati nella casa, il piccolo era chiuso a chiave nella sua stanza, con la maniglia smontata in modo che non potesse nemmeno tentare di liberarsi. Era tenuto al buio, con la finestra chiusa e anche qui la maniglia smontata. Nella sua Camera/Cella non c’era nemmeno il letto: sotto la tipica struttura a ponte, c’era solo un buco senza rete e senza materasso.
Botte, soprusi e minacce, umiliazioni. Il bambino sul suo diario ha segnato tutte le volte che è stato picchiato. Ha indicato il tubo di plastica utilizzato, nascosto sotto il divano. I carabinieri lo hanno trovato, ben sistemato sotto i cuscini di un salotto elegante e apparentemente confortevole. Sono emersi altri particolari… Sottoposto alle botte di mamma e papà, quel bambino poteva però andare a scuola, ma tornato veniva nuovamente rinchiuso. Isolato dal mondo lui è apparso stranamente sorridente e sereno, come se quella fosse la condizione normale.
Le Forze dell’ordine però hanno ricostruito uno spaccato familiare devastante. I genitori – “una famiglia apparentemente normale”, come descritta dalle forze dell’ordine, con un buon lavoro e che amava vivere in società – sono stati raggiunti e arrestati con le accuse di maltrattamenti in famiglia e sequestro di persona. Sono stati rinchiusi nel carcere Bancali di Sassari, dove attenderanno l’udienza di convalida dell’arresto. Intanto i militari dell’Arma stanno ascoltando conoscenti, amici e familiari per capire come sia stato possibile non accorgersi di questo orrore. Saranno sentiti probabilmente anche gli insegnanti della scuola frequentata dal bambino. Lui, una volta liberato, è stato trasferito in una struttura protetta, lontano dalla comunità che non aveva colto, capito, o forse anche ascoltato quegli occhi comunque sorridenti, malgrado tutto.
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