Quantitative easing? Cos’è veramente

quantitative easing

Il quantitative easing è l’argomento del momento. Quasi universalmente riconosciuto come uno dei pochissimi strumenti utili per uscire in tempi brevi dalla rovinosa crisi economica che ci si prospetta davanti. In cosa consiste veramente però?

Il concetto di quantitative easing è legato a doppio filo con quello di debito pubblico. Difatti in quest’epoca storica raramente gli stati moderni riescono ad ottemperare alle richieste dei cittadini semplicemente attingendo da quanto incassa dalle tasse dei cittadini.

Da qui nasce la necessità, quasi sempre inevitabile, di ricorrere alla spesa a deficit. Lo strumento con cui questo avviene è la messa all’asta di titoli di stato. Un titolo di stato è tecnicamente un pezzo di carta, in economia è chiamato obbligazione, ossia un documento che consente di fornire un prestito e riscuotere più avanti il denaro dato con degli interessi.

Nella sostanza, quando lo stato, come quello italiano, emette un titolo di stato dal valore, ad esempio, di 100 euro con scadenza decennale, vuol dire che oggi riceve del denaro per poi doverlo restituire tra dieci anni. A quei 100 euro vanno poi aggiunti gli interessi, quindi qualche soldo in più.

Se il ricorso all’indebitamento diventa una prassi, specialmente se lo si fa chiedendo prestiti di dimensioni considerevoli. Motivo per cui si dice “il debito pubblico è scarsamente sostenibile”. Significa che sta diventando complicato restituire il denaro ricevuto anni fa.

Quindi, le tre principali proprietà di un titolo di stato sono: il prezzo, il tasso di interesse e la scadenza. Di queste tre, sono l’ultima, la scadenza, è controllabile interamente dallo stato, per le altre due necessita per forza di mettersi d’accordo con gli acquirenti, quelli a cui spesso ci si riferisce chiamandoli con il nome generico di “mercato”.

Quando lo stato vuole vendere i suoi titoli mette in piedi un’asta, fissando un prezzo ed un tasso di interesse di partenza. A quel punto chiede chi vuole acquistarli. Ci sono due possibilità: i titoli vanno a ruba, a quel punto lo stato può permettersi di abbassare il prezzo, venderne di più e mitigare il tasso di interesse, un caso tipico di domanda superiore all’offerta; i titoli di stato faticano a vendersi: lo stato deve abbassare il prezzo e alzare il tasso di interesse per renderli più invitanti.

E’ chiaro che nella seconda ipotesi, tra dieci anni, quando lo stato dovrà restituire il prestito, dovrà dare agli investitori una quantità di denaro di gran lunga maggiore. E’ il problema di avere una domanda inferiore all’offerta.

Per questo motivo la Banca Centrale Europea può accorrere in aiuto degli stati membri della Zona Euro per abbassare il tasso di interesse dei titoli di stato e ridurre il costo del debito. Come fa? Attraverso le manovre di quantitative easing, che consistono in una massiccia operazione di acquisto dei titoli di stato emessi dagli stati membri da parte della Banca Centrale Europea.

L’obiettivo è riequilibrare domanda ed offerta in modo da alzare i prezzi dei titoli di stato e abbassarne i tassi di interesse, quindi si ridurrebbe il costo dell’indebitamento degli stati della Zona Euro. Difatti la missione principale delle istituzioni europee è sempre quella di stabilizzare le finanze degli stati membri e ridurne i debiti pubblici.

La domanda sorge spontanea: da dove prende la Banca Centrale Europea il denaro necessario questi titoli visto che, banalmente, la Bce non vende alcun prodotto? Per operazioni molto importanti deve stampare moneta. Ma come è noto i soldi non crescono sugli alberi.

Per questo motivo molti paesi sono dubbiosi circa l’utilizzo di questi strumenti: la stampa di moneta comporta necessariamente un aumento dei prezzi che potrebbe compromettere la stabilità dell’Euro, tanto faticosamente raggiunta dopo un secolo di inflazione galoppante.

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