Riaperture delle scuole, fatica a trovare punti di compromesso

Era stato indicato il 7 gennaio come giorno deputato alla riapertura degli istituti scolastici, in un’informativa che sembrava trasmettere il messaggio che i sacrifici derivanti dalla chiusura delle Regioni, delle attività di ristorazione e di molte altre, li si stava facendo anche per permettere alle scuole di riaprire. Il Governo sembrava aver rimesso la didattica in presenza al primo posto tra le proprie priorità, seguendo l’esempio virtuoso, tra le altre, di Germania e Francia.

I più recenti dati sulla diffusione del contagio, tuttavia, contribuiscono ad alimentare incertezza in merito ad una data che sembrava quasi certa. La verità è che i problemi presenti al tempo della decisione di limitare drasticamente gli ingressi fisici negli istituti scolastici non sono stati risolti durante questo periodo. Dunque, la prospettiva di riaprire nelle medesime condizioni per cui si era deciso di chiudere, con addirittura un aggravamento del numero dei contagi, appare quantomeno poco sensata a tutti coloro direttamente interessati, che manifestano infatti forti riserve.

Traducendo in numeri il 75% degli studenti delle scuole di istruzione superiore e il 100% delle scuole medie, si parla di circa 7 milioni di persone. A fronte di questi numeri, senz’altro ingenti, non sono altrettanto chiare le risposte riguardo ai vari problemi insoluti: le entrate scaglionate, i mezzi di trasporto, la presenza di insegnanti.

Riguardo alle entrate, il vicepresidente della Regione Campania e coordinatore della Conferenza delle Regioni Bonavitacola afferma come vi sia una carenza di coordinamento tra le regioni in merito allo scaglionamento delle entrate e dunque all’orario di ingresso degli studenti nelle scuole. Il problema vero, probabilmente, risiede nel fatto che ad ora non vi sia chiarezza su chi abbia competenza in merito alla scelta.

A livello logico, pare sensato che siano provvedimenti da adottarsi in una dimensione locale, ma allo stesso tempo ciò aumenta il pericolo di sviste o scelte poco avvedute, aumentando la pletora di responsabili chiamati ad operare. In questo momento, addirittura, in assenza di comunicazioni diverse, l’autonomia è lasciata ai presidi delle singole scuole. Una scelta pericolosa, considerando che la scelta di aumentare le fasce d’apertura è strettamente legata alla necessità di riempire meno i mezzi pubblici. Viene semplice pensare infatti, che avendo a che fare con le dinamiche di trasporto pubblico, la competenza a scegliere gli orari scolastici sarebbe più funzionale se in mani ad un organo pubblico.

All’assenza di un centro organizzativo per gli ingressi, si accosta l’assenza di un piano per l’introduzione di mezzi alternativi, come i noleggi privati, o i bus turistici. In questo caso, la competenza è stata attribuita ai Prefetti, con i quali verrà istituito un tavolo per la discussione della divisione e del numero di mezzi necessari. Ulteriore criticità risiede nella difficoltà di delineare mezzi aggiuntivi per servizi non sostituibili, come la metropolitana.

Vi è poi l’ostacolo legato all’accordo con professori e dipendenti degli istituti scolastici. Bisogna fare i conti con la paura legata alla possibilità di contagi, con il Comitato tecnico-scientifico spaccato a metà sul tema delle scuole. Molti di coloro che andranno a sedere sulle cattedre a gennaio sono precari, alimentando la confusione nelle classi e le difficoltà di un insegnamento di tipo qualitativo.

Si tratta di problemi emergenziali, attuali, che offuscano quelli che sono i problemi più profondi, riguardanti l’importanza attribuita al sistema scolastico. L’Italia è l’unico dei paesi G20 a non aver investito nell’istruzione dalla crisi del 2012 e pesano problematiche di tipo strutturale, ma anche legato al tipo di competenze che vengono insegnate. Urge investire nella formazione degli insegnanti, che non significa spiegare come si usano i nuovi sistemi tecnologici, ma come inaugurare un sistema di didattica consapevole delle potenzialità di comprensione alternative offerte dalle abilità della nuova generazione.

Parole che sembrano utopistiche e che scoraggiano, ma che devono essere tenute a mente. L’Italia ha ancora molta strada da fare.

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