Un anno di inferno. Un anno in cui il suo nome è diventato famoso suo malgrado. Un anno che ha visto diventare virale un video hard girato dal suo ex fidanzato e mai autorizzato alla messa online. Questo insieme ad altri 5 di vario genere, ma sempre video privati e non fatti per il grande pubblico. Si chiamava Tiziana Cantone ed aveva solo 31 anni, quando ieri, nella cantina della sua casa si è impiccata con un foulard. Aveva già tentato il suicidio qualche settimana prima, atto fermato fortunatamente in quel caso dall’intervento della madre. Ma come ci insegna Durkheim chi tenta il suicidio una volta, difficilmente non lo rifarà ancora. Una donna bellissima finita sui social forum dove hanno infangato il suo nome attraverso la visualizzazione di quel video con scene hard. Lo aveva girato il suo ex con il cellulare, mentre nella sua macchina lei era impegnata nel praticargli una fellatio. Ma non è tanto questo video in sé che ha provocato l’ascesa sui social network e la conoscenza del suo nome su larga scala, quanto una frase che pronunciò durante l’atto sessuale “Stai facendo un video? Bravo!”, pronunciato in modo buffo e affannato tanto da diventare virale.
Milioni di “Mi piace” hanno poi seguito la messa online del video togliendo alla ragazza la normalità di una vita che è poi diventata bersaglio di prese in giro e accuse ipocrite da parte della gente “bene” che poi il video se lo andava a vedere.
Tiziana si vide anche costretta a lasciare il lavoro, andare via da Napoli e ottenere il cambio di identità con un nuovo cognome grazie a una disposizione lampo del Tribunale. Aveva poi avviato le pratiche per il “Diritto all’oblio” ossia la richiesta della cancellazione totale dal web di quei video incriminati, mai autorizzati e che la ritraevano chiaramente. La storia va avanti mese dopo mese, sul Web video, vignette, addirittura la messa in vendita di tazze e magliette con la frase incriminata, foto di Tiziana ritagliate dal video, un vero e proprio fatto mediatico. I sei video girati cominciano a venire condivisi su whatsapp, non essendo possibile visualizzarli integralmente sui motori di ricerca. Un qualcosa fatto privatamente e che doveva rimanere nella sfera privata delle persone coinvolte, finite poi in pasto al mondo della condivisione e dei “meme” internettiani.
Cinque giorni fa, il giudice del tribunale di Aversa, Monica Marrazzo, ha riconosciuto la lesione del diritto alla privacy di Tiziana, contestando ai vari social forum di non aver rimosso all’istante i video lesivi della sua reputazione. Inoltre, il suo legale aveva citato in giudizio non solo chi ha postato i video, sui quali ora sono in corso le indagini preliminari ma anche lo stesso Facebook Ireland, Yahoo Italia, Google e Youtube, richiedendo l’applicazione del diritto all’oblio. Aveva ottenuto il provvedimento d’urgenza che comporta in caso di inadempienza una multa fino a 10mila euro al giorno per i motori di ricerca e Facebook Ireland.
Una vicenda veramente triste, con azioni lesive messe in atto senta tanto pensare alle conseguenze, ma ancora più triste è la reazione della gente comune pronta a scagliarsi senza remore proteggendo il falso moralismo tutto nostrano. Ma passerei oltre questa parte dell’articolo perché certi commenti non meritano neanche di essere presi in considerazione soprattutto visto il tragico finale di questa vita.
Come siano andate veramente le cose, perché quei video fossero stati messi online non è ancora ben chiaro, se si sia trattato di un caso di revenge porn o no, ma qualsiasi sia la verità a nulla può valere un prezzo così alto. Di sicuro si tratta di una storia andata fuori controllo come testimoniano i dati di Google anche solo sul tormentone del “Bravo”, frase contenuta in oltre 146.000 video in Rete, con tanto di parodie sul video in questione. Tiziana non si è suicidata, ma è stata uccisa dalle parole, dalle risa, dalle prese ignoro e dalle accuse verbali che si sono protratte contro di lei e la sua famiglia. Il colpevole non è solo chi ha pubblicato quel video, ma chiunque ha fatto da contorno anche semplicemente con un commento di basso livello a questa vicenda, non rispettando chi ha chiesto di rispettare il proprio “Diritto all’oblio”.
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