Il lockdown imposto agli italiani durante le ultime settimane per fronteggiare l’emergenza Coronavirus ha messo a nudo, facendolo tornare sotto la lente di ingrandimento, un grave problema sociale del nostro paese: il sovraffollamento abitativo.
Già due anni fa una ricerca condotta dall’Istat sottolineava come circa il 30 per cento della popolazione fosse costretta a vivere in case non idonee ad assicurare il necessario spazio vitale per tutti coloro che vi abitavano e, prendendo in esame soltanto i minori, questa percentuale cresceva fino a sfiorare addirittura il 42 per cento.
Nonostante questa tematica riguardi il territorio nazionale nella sua interezza, i dati più preoccupanti provengono dal meridione, zona nella quale è stata registrata la maggior parte dei casi critici.
Appare appena il caso di rilevare quanto, anche in condizioni di normalità, una situazione del genere possa creare disagi alle persone coinvolte. Tuttavia risulta palese che un periodo di autoisolamento forzato all’interno delle mura della propria residenza non faccia altro che accentuare tali difficoltà, mettendo maggiormente a dura prova una pacifica convivenza tra i membri dell’abitazione.
Inoltre, al di là della serenità dei rapporti intercorrenti tra coloro che condividono la stessa casa, il sovraffollamento abitativo innalza logicamente i rischi di contagio, rallentando dunque inevitabilmente il processo di limitazione della diffusione del Coronavirus.
Come se tutto ciò non bastasse, alcune indagini hanno provato che le “abitudini abitative” degli italiani hanno contribuito addirittura ad incrementare i decessi registrati nel nostro paese.
In Italia è difatti molto più semplice che persone nella fascia di età tra i 20 e i 40 anni abitino con i propri genitori di quanto invece accada negli altri stati europei. Il che significa che lungo lo Stivale gli anziani sono stati esposti ad un rischio maggiore di contagio e, di conseguenza, di morte.
In più, oltre a focalizzarsi sulle condizioni abitative degli italiani, la ricerca Istat in parola ha anche preso in considerazione i numeri concernenti la disponibilità di computer personali per bambini e ragazzi. E anche qui i riscontri non sono risultati affatto incoraggianti, avendo i ricercatori rilevato che in molte case vi è un solo computer, il cui uso deve essere quindi condiviso tra tutti i membri del nucleo familiare e, nei casi riguardanti le famiglie più povere, ci sono ragazzi che non ne hanno mai avuto nemmeno uno.
Anche queste statistiche acquisiscono ora un carattere più che mai attuale, dati gli insegnamenti portavi avanti via web in scuole e università. Dunque, la mancanza di strumenti attraverso i quali accedere a Internet risulta ora un ostacolo pressocchè insormontabile per poter continuare adeguatamente il proprio percorso di studi.
Per finire, quando ci saremo lasciati alle spalle questa pandemia, le problematiche su cui la ricerca dell’Istat fece luce due anni fa diventeranno, auspicabilmente, ulteriori spunti da cui ripartire per migliorare le condizioni sociali in cui il popolo italiano versa, riuscendo così a trasformare la crisi attuale in un’opportunità di crescita.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.