Netflix ha illuminato gli schermi di milioni di telespettatori e, cosa non meno importante, ci tiene compagnia in questi lunghi giorni di quarantena. Tutti noi gli siamo grati. Ciò non toglie che se mentre sulle serie TV si è ormai confermato il re dei colossi di intrattenimento, e per questo si consiglia la recensione della serie Narcos:Mexico (in attesa del primo bilancio di Disney+, arrivato in Italia proprio qualche giorno fa, alle 2 del mattino del 24 marzo 2020), i suoi lungometraggi hanno storicamente arrancato.
A cominciare da uno dei film più pubblicizzati, The Titan, che qualche anno fa, complice la partecipazione della star di Avatar Sam Worthington, si rivelò poi un incredibile prodotto incompiuto. Completamente disattese le grandi aspettative della vigilia, con un finale imbarazzante che lasciava un terribile amaro in bocca.
Una delle rare eccezioni è stato Sulla mia Pelle, lo straordinario film sul caso di Stefano Cucchi, morto in seguito a delle percosse subite in caserma dopo essere stato arrestato per possesso di piccole quantità di stupefacenti. La pellicola, interpretata da Alessandro Borghi, è stata universalmente acclamata, anche all’estero. Si è arrivata a contendere con Dogman di Matteo Garrone la selezione per essere la proposta italiana alle candidature per il Premio Oscar al Miglior film straniero.
Spenser Confidential non rientra purtroppo tra le eccezioni. Mark Whalberg si conferma il solito palo, con la medesima espressione facciale per un’abbondante ora e mezza. Una totale assenza di espressività che però non cozza con il piattume di una storia trita e ritrita: poliziotto onesto (uno dei pochi, secondo la visione che il regista ha della Polizia di Boston) che si batte per una giusta causa finisce nei guai, dopodiché esce di prigione e ricomincia la sua lotta.
A differenza di altre “montagne di muscoli” del cinema, da Schwarzenegger a Stallone, passando per “The Rock”, Whalberg non riesce a cimentarsi in avventure interpretative sufficientemente profonde. A meno che non si trovi in produzioni ben più grandi di lui, come in “Tutti i soldi del mondo” o “Boston-Caccia all’uomo”. Non risulta dannoso, quindi, solo se il contesto in cui si trova è quadrato e stabile.
Film prodotto anche dallo stesso Whalberg, come è prassi negli ultimi anni per lui. E pensare che aveva cominciato ad apparire sul grande schermo, diventando un volto estremamente noto al grande pubblico, con pellicole autoriali come The Departed di Scorsese. Da quando nel 2013 si è buttato nel grottesco Pain and Gain-Muscoli e Denaro, diretto manco a dirlo da Michael Bay, la sua carriera ha intrapreso una parabola qualitativamente discendente.
A poco serve la presenza di Winston Duke, tra i protagonisti di Black Panther, Avengers e Noi. In una storia che non ha né capo né coda, con cattivi caratterialmente piatti, quasi inesistenti, l’unico modo di intrattenersi è qualche risatina per le gag, comunque non eccezionali, di Whalberg e Duke.
Netflix dimostra di avere urgente necessità di potenziare la divisione cinema. Altrimenti, tanto vale restare solo sulle serie.
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