E’ andato in scena il primo vero e proprio spartiacque della stagione delle primarie democratiche. Il “Super Tuesday” è il martedì che ogni quattro anni porta alle urne buona parte degli elettori dei due grandi partiti. I repubblicani si sono ovviamente affidati di nuovo al presidente uscente Donald Trump, mentre i democratici hanno dovuto scegliere i due veri candidati principali per andare a sfidare il ticket del POTUS e di Mike Pence.
Mai come quest’anno la sfida interna è infiammata, specie tra le due grandi “anime” del Partito Democratico, i moderati di Biden, sulla falsariga dell’ex-presidente Obama, e i socialisti di Sanders, Warren e Ocasio-Cortez. Il navigato Bernie Sanders, al momento senatore per il Vermont, sembrava essere l’unico vero e proprio front-runner per la Casa Bianca, il che certamente non rassicurava l’establishment dell’asinello, preoccupato delle sue posizioni sull’economia e sul socialismo.
Se i grandi protagonisti del dibattito del 25 febbraio erano stati Bloomberg e Warren, questa volta entrambi escono e tornano a casa con le ossa rotte. Il primo ha anche annunciato la fine della sua campagna elettorale (definita da Trump “700 milioni di dollari sprecati”), mentre lo stesso ci si aspetta per la senatrice per il Massachusetts.
Una parziale conferma è arrivata da Bernie Sanders, all’ultima chiamata considerando le tante occasioni fallite e l’età ormai avanzata, sia anagrafica ma anche e soprattutto politica. Una X sul suo nome è stata fatta da tutti gli elettori storicamente affezionati alla causa di Sanders: ispanici, giovani, studenti universitari etc… Ma come si temeva per lui, è stato un fallimento il tentativo disperato di estendersi ad altri segmenti della società.
Una limitazione che si rischia di pagare a novembre, quando dall’altro lato della barricata c’è un Donald Trump che invece ha saputo dimostrarsi estremamente flessibile e trasversale, ottenendo sacche di consenso anche in comunità per insolite per i Repubblicani: afroamericani, immigrati, giovani donne. Lo svecchiamento del disegno oggettivamente e paradossalmente rivoluzionario di Sanders deve essere per forza di cose la sua parola d’ordine.
Il grande vincitore però è stato l’uomo meno atteso, l’unico ad aver avuto incarichi governativi di spessore e quello che maggiormente tiene vivi i rapporti di continuità con l’era Clinton-Obama: Joe Biden. Ex-vicepresidente degli Stati Uniti, ha combattuto diverse battaglie nelle elezioni primarie, tra cui una proprio contro Barack Obama, uscendone però ovviamente sconfitto. Questo non gli impedì però di sedere a fianco del primo presidente afroamericano della Storia alla guida della Nazione.
Un ruolo che gli consentì di guadagnare immenso prestigio e di potersi fregiare dell’appoggio della dirigenza relativamente “conservatrice” del Partito Democratico. Forse l’unico candidato veramente in grado di scalfire il consenso di Trump è proprio lui, che ha la capacità di attrarre gli indecisi ma anche e soprattutto i conservatori e la destra che non si riconoscono nel tycoon.
Ad ora è lui ad essere in front-runner democratico, portandosi a sorpresa in testa con 453 delegati, contro i 382 di Sanders (che conquista però la preda più grossa, ossia la California). Come detto restano realisticamente tagliati furoi Bloomberg, che trionfa solo alle Isole Samoa (sembra non essere ripetibile l’esperimento “miliardario alla Casa Bianca” tentato e completato da Trump) e Warren (che perde anche nel suo stato di provenienza, il Massachusetts, tra l’altro bottino ghiotto con quasi 100 delegati in palio).
D’altro canto Bernie Sanders rischia di essere troppo divisivo e di polarizzare il dibattito pre-elettorale in un “comunisti vs. anticomunisti”. Negli Stati Uniti d’America non è così automatica, come invece è in Europa, la distinzione tra socialismo e comunismo. Difficilmente una candidatura alle presidenziali di Sanders riporterebbe in auge linguaggio e metodiche del maccartismo. Poche cose fanno stringere gli americani tra di loro dell’antipatia nei confronti dei comunisti. Portare Bernie Sanders alla sfida finale con Donald Trump sarebbe un tentativo veramente azzardato.
Nel frattempo il presidente punzecchia i rivali su Twitter, ansioso di scoprire con chi si dovrà confrontare a fine anno. Per il momento, dovrà attendere metà luglio per ottenere una risposta, salvo stravolgimenti e colpi di scena.
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