Ogni tanto ci scordiamo di malattie che ci hanno tenuto con il fiato sospeso per tanto tempo. Questo è il caso dell’Ebola, una delle malattie virali più pericolose e che in passato ha fatto molto parlare di se. Torna alla ribalta con 11 nuovi casi segnalati dal ministro della Salute del Congo, tutti confermati di ebola e con due morti legati alla malattia nel nordovest del Paese. In totale fino ad oggi sono stati registrati 45 casi di cui 10 sospetti, 21 probabili e 14 confermati. I morti conclamati sono 23. L’epidemia va avanti.
L’allarme arriva per questa nuova epidemia dopo il primo caso registrato nella città di Mbandaka, centro di circa 1,2 milioni di abitanti situato sulle rive del fiume Congo e capoluogo della provincia dell’Equatore. Fino a questo erano solo casi isolati e circoscritti alla zona rurale e isolata a est del Lago Tumba. L’arrivo dell’epidemia in un centro rurale allarma molto di più essendo un’area molto popolosa. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha inviato la sua preoccupazione: “Si tratta di uno sviluppo preoccupante della situazione. Insieme ai nostri partner, stiamo utilizzando gli strumenti migliori per fermare la diffusione”, ha dichiarato il suo direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus.
Ma non finisce qui: secondo una fonte medica locale a Mbandaka circa 300 persone sono entrate in contatto diretto oppure indiretto con persone malate di ebola. Una epidemia che è stata allarmata già dall’8 maggio fino ad arrivare ad oggi con toni veramente allarmanti. Roberta Petrucci, membro di una delle squadre di emergenza di Medici Senza Frontiere in azione nel Paese ha dichiarato: “Stiamo lavorando a stretto contatto con il ministero della Salute e le altre organizzazioni sul campo per implementare una risposta coordinata, coerente e rapida per arrestare la diffusione dell’Ebola”. L’ebola come ben si sa è letale e altamente contagiosa così come è difficile da contenere soprattutto in zone così popolose.
Al momento non avendo una cura si cerca almeno di evitare il contagio, cercano di tenere i pazienti in isolamento e rintracciando le persone con cui hanno avuto contatti. Per l’Oms, si tratta dello stesso ceppo del virus che colpì l’Africa occidentale nel 2013: in quel caso su 29mila casi registrati, i decessi furono più di 11.300.
Al momento non si parla di casi in altre Nazioni.
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