L’Amministrazione di Donald Trump ha annunciato che a breve sarà dato il via libera alla raccolta e alla conservazione del DNA degli immigrati clandestini presenti all’interno dei confini del paese, in attesa della loro espulsione.
Il programma in questione andrà ad attuare una legge approvata dal Congresso statunitense ben quindici anni fa (durante la presidenza del Repubblicano George Bush), il DNA Fingerprint Act. Questo provvedimento legislativo prevede dunque la costituzione di una banca dati al fine di raccogliervi i campioni di DNA prelevati da determinati soggetti: persone in custodia, indiziati di reato e condannati. Tra queste categorie ricadono dunque anche tutti coloro che sono entrati negli Stati Uniti illegittimamente e che quindi vengono tenuti in custodia presso le Agenzie Federali.
Il DNA Fingerprint Act non è mai stato inserito tra le priorità delle politiche di Barack Obama. Infatti, aldilà delle sfumature di principio che fanno da sfondo a questa norma, lo stesso ex Presidente aveva ammesso che la propria Amministrazione non disponesse di adeguate risorse, più di personale che di liquidità, per dare concreta attuazione al progetto. Non dobbiamo difatti dimenticare quanto complicata sia la gestione dei confini tra USA e Messico, con le migliaia e migliaia di persone che tentano annualmente di raggiungere gli Stati Uniti dal resto del continente.
Tuttavia adesso, le vicende legate al contenimento e alla regolarizzazione dell’immigrazione sono in cima all’agenda di Donald Trump, nel contesto del motto: ”America first”. Lungo questo solco, basta ricordare la volontà annunciata di porre un argine alla pratica conosciuta come “turismo delle nascite”. Così non deve sorprenderci che la decisione di far finalmente rispettare il DNA Fingerprint Act, dopo tutto questo tempo, coincida con il mandato del tycoon.
Il programma in parola richiederà di certo un elevato sforzo da parte delle autorità competenti, dovendo raccogliere, coordinare e gestire una enorme quantità di materiale genetico ottenuto tramite tamponi e prelievi esercitati su numerosissime persone. Come già anticipato, questi dati verranno poi accumulati presso la Codis (Combined DNA Index System). I campioni così conservati saranno di conseguenza inseriti nei circuiti informatici delle Agenzie Investigative volti alla risoluzione dei casi di reato di cui queste ultime si occupano.
Non vi è dubbio sul fatto che i soggetti incaricati svolgeranno la proprie mansioni al meglio, affinchè questo progetto possa funzionare al meglio e rivelarsi utile all’accrescimento della rapidità e dell’efficienza dei procedimenti investigativi e, di logica conseguenza, giudiziari. Vi è tuttavia qualche dubbio in più per quanto concerne la legittimità di questa innovazione.
A farsi portavoce di queste perplessità sono stati alcuni oppositori appartenenti al ramo democratico, tra cui i deputati Veronica Escobar, Rashida Tlaib e Joaquin Castro. Questi tre politici hanno denunciato il pessimo segnale che deriverebbe dall’attuazione del DNA Fingerprint Act, in quanto la raccolta dei dati degli immigrati irregolari andrebbe a potenziare notevolmente quella sensazione, a dire il vero già presente nell’aria, secondo cui queste persone portano addosso il marchio della criminalità e che quindi la loro presenza avrebbe come unico effetto quello di incrementare il tasso di delinquenza degli Stati Uniti.
Insomma, un’altra tessera nell’ampio mosaico xenofobo volto a rappresentare lo straniero come elemento dannoso alla società e alla convivenza civile.
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