Come spesso accade nel mondo giornalistico, si tende a trattare argomenti che facciano maggior breccia nell’immaginario dei propri lettori. Così si segue un po’ come un branco di pecore, la notizia del giorno e per lunghi periodi si parla di argomenti specifici come se accadessero solo in quel dato lasso di tempo. Questa è anche la storia del cosiddetto femminicidio portato alla ribalta seguendo la cronaca solo di quello che si vuole mettere in luce. Magari nello stesso periodo vengono uccisi tanti uomini quante donne, ma visto che il “pubblico” viene solleticato maggiormente da notizie su percosse, alto grado di violenza e situazioni limite, si tende a confezionare i dati seguendo una linea ben specifica e tralasciandone altri.
In Italia come anche in molti altri paesi Evoluti, la violenza contro le donne è sicuramente una realtà ed è difficile pensarla all’inverso. Ma bisogna considerare anche che nel mondo un terzo degli omicidi di partner vengono effettuati proprio dalle donne nei confronti degli uomini. Da non sottovalutare poi che non si tiene molto in considerazione la violenza psicologica sia di un sesso che dell’altro nei confronti del proprio partner. nel caso di conflitti di coppia, sono le donne ad avere la peggio ed è proprio questa empatia dei lettori a portare i mass media a parlare di notizie che vedano il gentil sesso come vittima preponderante.
Una scelta che però spesso distoglie l’attenzione dal problema principale ossia i conflitti nella coppia portati da una carenza relazionale che coinvolge uomini, donne e anche i bambini.
“Povertà emotiva” che porta a tanti divorzi in Italia quanto nel resto dell’Europa. Un fatto che non solo colpisce il benestare della famiglia, ma porta anche ad un impoverimento economico che coinvolge tutti.
Tornando al femminicidio, possiamo vedere dagli ultimi dati statistici che il numero di questi eventi non è aumentato, mentre lo è il numero di testate che ne parlano. Inoltre vengono messi da parte tutti i diversi tipi di violenza (fisica, sessuale, psicologica) che non portino ad un esito letale.
Le indagini ufficiali sul femminicidio sono svolte da Eures e anche dall’Istat, di cui però leggiamo un commento di Fabio Nestola (Federazione Italiana per la Bigenitorialità) che, nel documento “Quello che l’ISTAT non dice” presentato in Commissione Giustizia del Senato scrive:
“Analizzando con cura il questionario somministrato dall’ISTAT, viene però da chiedersi se detto questionario non sia stato elaborato con il preciso obiettivo di far emergere dati numericamente impressionanti, sui quali costruire un allarme sociale. Il questionario è stato elaborato in collaborazione con le operatrici dei centri antiviolenza, era difficile immaginare che ne sarebbero potuti uscire dati non faziosi. L’impatto sull’opinione pubblica, infatti, è generato dal dato conclusivo – 7.000.000 di vittime – senza approfondire da cosa scaturisca questo dato. Oltre ai quesiti su violenza fisica (7 domande) e sessuale (8 domande), il questionario ISTAT lascia uno spazio ben maggiore alla violenza psicologica (24 domande). Alcuni dei quesiti, però, sembrano finalizzati a raccogliere un numero enorme di risposte positive, descrivendo normali episodi di conversazione sicuramente accaduti a chiunque, che risulta difficile configurare come violenza alle donne”.
Lo stesso studio Istat è stato riproposto nel 2015 senza modificare il questionario del 2006.
Gli autori facevano notare: “Va rilevato come inchieste, sondaggi e ricerche che analizzano tale comportamento deviante e che vengono proposte con continuità a livello istituzionale e mediatico da diversi decenni, sono solite prendere in considerazione solo l’eventualità che la vittima della violenza di genere sia donna e che l’autore di reato sia uomo. Tale informazione, distorta alla sua origine, passa tramite canali ufficiali (dai media alle campagne di prevenzione istituzionale) determinando una conseguente sensibilizzazione unidirezionale che relega ad eccezioni – spesso non prese neppure in considerazione – le ipotesi che la violenza possa essere subita ed agita da appartenenti ad entrambi i sessi”.
L’indagine è andata di pari passo considerando la ricerca Istat utilizzando metodo e questionario rivolti però agli uomini.
Le loro conclusioni sono state: “Dall’indagine emerge come anche un soggetto di genere femminile sia in grado di mettere in atto una gamma estesa di violenze fisiche, sessuali e psicologiche; quindi anche un soggetto di genere maschile possa esserne vittima. Il fenomeno della violenza fisica, sessuale, psicologica e di atti persecutori, in accordo con le ricerche internazionali, anche in Italia vede vittime soggetti di sesso maschile con modalità che non differiscono troppo rispetto all’altro sesso. L’indagine inoltre dimostra che le modalità aggressive non trovano limiti nella prestanza fisica o nello sviluppo muscolare; anche un soggetto apparentemente più “fragile” della propria vittima può utilizzare armi improprie, percosse a mani nude, calci e pugni secondo modalità che solo i preconcetti classificano come esclusive maschili. La significativa rappresentatività nel campione di soggetti con prole ha fatto emergere l’effettiva strumentalizzazione che i figli subiscono all’interno della coppia in crisi. Il dato più evidente riguarda le violenze psicologiche, testimoniate dal campione in percentuali significative. Solo il 2,1% ha dichiarato di non averne mai subite.
Sulle donne
- 56.8% Solo violenza fisica
- 14.4% Violenza fisica e stalking
- 12.5% Stupro, violenza fisica e stalking
- 8.7% Stupro e violenza fisica
- 4.4% Solo stupro
- 2.6% Stalking
-
92.1% Solo violenza fisica
- 6.3% Violenza fisica e stalking
- 1.6% Altre combinazioni
Bel lavoro. Grazie