E’ uscito lo scorso 29 Novembre il terzo romanzo di Piervincenzo Gigliotti dal titolo “Aria d’estate”, dopo “Radici nel vento” del 2019 e “L’anno più bello” del 2020. Si tratta di un romanzo ambientato nella scuola dell’Italia degli anni ’70 che racconta la storia della vita di alcuni personaggi che vivono le loro “prime volte” con l’entusiasmo tipico dei giovani ma anche i momenti duri che caratterizzano la vita di tutti. Ce ne ha parlato qui per La Ragnatela News.
Perché la scelta di questo titolo?
Il titolo è abbastanza profondo. I due protagonisti della storia, Giovanni e Giorgia, compagni di banco sin dalla prima elementare che scoprono soltanto alle superiori di amarsi, vivono le loro stagioni del cuore in parallelo con le stagioni della vita. Perché nella storia in realtà ci sono quattro stagioni: c’è l’autunno, con le mortificazioni e le umiliazioni che nascono a seguito delle punizioni corporali che subiscono ma soprattutto osservano sui loro compagni di classe; dopo queste mortificazioni severe un inverno della loro vita perché queste mortificazioni fanno male, lasciano pensare che quindi c’è un periodo di solitudine e di silenzio. Poi, come spesso accade nella vita, nasce il sentimento e questo sentimento nasce al liceo e loro si ritrovano durante l’occupazione della scuola, e sboccia quindi la primavera per Giovanni e Giorgia finalmente. Una stagione tutta nuova, e poi dopo alterne vicende finalmente arriva un po’ l’estate della loro vita, che sa molto di felicità, e questa felicità sa molto di riscatto e insieme cominciano ad assaporare finalmente l’aria dell’estate, cioè l’aria della felicità.
Perché hai scelto gli anni ’70 come ambientazione temporale del romanzo?
Innanzitutto la prima parte del libro, ovvero le prime 70-80 pagine, ha come tema centrale quello dei maltrattamenti nelle aule scolastiche, in quel periodo lì la scuola era molto diversa da quella di oggi. C’è sì sempre uno scopo di formazione, ma in questo caso anche di denuncia, perché si prova a mettere a confronto la scuola di ieri che era fatta tra le altre cose di punizioni corporali, cosa che ha segnato molti dei miei coetanei, con quella recente, una scuola molto più aperta nei confronti dei ragazzi. In quel periodo lì la scuola era molto dura, e non era strano trovare delle insegnanti e delle maestre che per educarti e per darti l’educazione utilizzavano le maniere forti. Spesso magari le maniere forti sono rappresentate da brutti rimproveri, ma a volte si passava alle vie di fatto, e molti sono stati segnati da questo. Volevo lasciare un po’ degli spunti di riflessione con questo testo per far capire ai ragazzi oggi come sono fortunati andando a scuola perché spesso ritrovano un po’ una seconda casa, anzi, alcuni di loro trovano una casa, perché i ragazzi oggi hanno tanti problemi, hanno dei problemi in famiglia, hanno problemi personali, sono capiti, sono spesso compresi dagli insegnanti. Prima l’alunno era un po’ un robot, era robotizzato, quello che importava all’insegnante era che l’allievo andasse bene a scuola, non importava la sua situazione personale, i suoi problemi, quei genitori che non andavano d’accordo o erano separati, e quindi c’era molta durezza sia nei modi sia negli atteggiamenti.
Che ricordi hai del tuo periodo della scuola?
La mia scuola è stata abbastanza dura. Soprattutto le elementari. Parlo di questa storia perché nella prima parte la vedo molto autobiografica. Una maestra che era molto dura, non ti capiva, non si preoccupava dei tuoi problemi ma più che altro impartiva delle nozioni e tendeva subito a passare alle vie di fatto. Io ricordo questa cattedra che si trovava su un piedistallo perché per raggiungerla dovevi fare tre gradini. Questa ti faceva capire la posizione dominante dell’insegnante rispetto ai ragazzi. Poi si era instaurato in quella situazione un po’ un clima di terrore che io assaporavo ogni giorno, perché a quei tempi la dislessia, l’autismo, queste situazioni erano situazioni abbastanza sconosciute soprattutto nei piccoli centri di provincia. Non si sapeva proprio cosa fossero. E’ capitato di trovare anche magari un compagno che era dislessico e che non leggeva bene, però nessuno immaginava che avesse una patologia. Spesso la maestra lo rimproverava, passava anche alle vie di fatto perché lo riteneva un vagabondo, non lo riteneva uno studioso, quindi pensava che il suo problema avesse origine dal fatto che non studiava a casa.
Questo romanzo vuole anche raccontare ed evidenziare l’immagine della scuola come luogo di inclusione. A volte però accade che nel mondo della scuola ci sono fenomeni tutt’altro che inclusivi come ad esempio quello del bullismo. Cosa pensi del fenomeno del bullismo?
Ho dato spazio al bullismo anche nel mio precedente libro, “L’anno più bello”. Oggi ci sono tante sfaccettature di questo fenomeno: vi racconto una storia che è capitata nella mia classe. Un compagno che era oggetto di scherzi, scherzi che poi hanno cominciato a essere un po’ più pesanti fino a quando non si sono accorti di vedere suo padre fuori. Suo padre si trovava inaspettatamente fuori perché questo ragazzo abitava di fronte la scuola e non aveva bisogno di essere preso dal papà. Eppure questo papà si è avvicinato a uno dei miei compagni e ha cominciato a picchiarlo. In realtà aveva sbagliato persona, perché era un ragazzo somigliante al vero bullo e lui ha sbagliato reazione. Quindi questo fatto che lui si è vendicato fuori da scuola ha lasciato tutti abbastanza sconvolti. Sicuramente il figlio soffriva, e che questo ragazzo soffrisse per le prese in giro, per gli scherzi, per quello che subiva e quindi non sapeva come aggirare questa situazione perché poi questo ragazzino era molto timido e chiuso, e quindi ne ha parlato col papà e ha pensato bene di farsi giustizia da solo, cioè non credeva che si potesse risolvere la questione a scuola. Questo fa capire quanto ci si può star male, quanto i ragazzi di questo fatto ne possono soffrire. Oggi è un fenomeno molto diffuso nelle scuole e che si manifesta in vari modi, non solo con questi atteggiamenti ma anche con l’emarginazione, l’emarginazione è un’altra forma di bullismo. Non invitare mai un ragazzo ad uscire, alle feste, tenerlo lontano da tutto il resto della classe, e spesso il resto della classe si adegua alle decisioni dei bulli perché altrimenti vengono esclusi anche loro.
Parlando della tua attività di scrittore: come è nata la tua passione per la scrittura?
L’ho scoperta abbastanza tardi, quasi a 48 anni. In realtà sono un ragazzo abbastanza timido, riservato, e per anni ho avuto questa voglia di far uscire quello che sentivo dentro, e questi libri un po’ li avevo scritti nella mente, finché non ho avuto il coraggio di scrivere il primo romanzo. Il mio primo romanzo è tratto da una storia personale, il primo libro che si chiama “Radici nel vento” racconta la storia di un condominio. Da piccolo in questo condominio ci vivevo e sotto di me avevo un ragazzo con cui ho iniziato a fare amicizia e che oggi è un volto noto della TV: è Alberto Matano, giornalista della Rai, conduttore di La vita in diretta, siamo diventati amici, e poi sopra di me è venuto ad abitare un calciatore ai tempi ancora sconosciuto, era il capitano del Catanzaro che ai tempi giocava in serie A, ossia Claudio Ranieri (oggi allenatore del Cagliari e con una carriera ricca di esperienze in grandi squadre italiane ed estere, ed è ricordato tra le varie cose per il “miracolo Leicester” del 2016, ndr), e successivamente Massimo Palanca, che a Catanzaro è stato l’idolo di una generazione. Quindi ho cominciato a buttare giù questa storia e devo dire che ho avuto abbastanza successo, e da lì ho cominciato a trovare la forza per scrivere il secondo e ora siamo al terzo, ossia “Aria d’estate”.
Dovessi scegliere tra i tuoi tre romanzi qual è quello che più ti rappresenta?
Per certi versi le prime 70-80 pagine di “Aria d’estate” mi rappresentano molto, poi ho dato abbastanza spazio all’immaginazione, alla fantasia, ho voluto trovare un amore che fosse riparatore delle ferite del cuore, perché l’amore guarisce o comunque prova a guarire e a curare le ferite del cuore. Infatti l’immagine di copertina del libro rappresenta questi due ragazzi che sono legati dal filo di un lettore CD e che si fanno forza a vicenda con l’amore per superare le avversità della loro infanzia. E’ molto rappresentativa questa copertina. Quindi mi rivedo nelle prime pagine. Il libro che forse mi rappresenta di più è il secondo, che è “L’anno più bello” in cui otto compagni di classe di una scuola media della nostra città sognano di cambiare il mondo, e per cambiare il mondo negli anni ’80 in una città come questa c’era un solo modo: aggrapparsi a una partita di calcio perché quell’anno la mia squadra che è quella della mia città, il Catanzaro, arrivò settima in campionato nell’ ’82 e affrontò una semifinale di Coppa Italia contro l’Inter, l’Inter di grandi campioni che poi vinsero i Mondiali, l’Inter di Tardelli, Bordon, Giuseppe Baresi, Bergomi. Chi riusciva a spuntarla da questa semifinale avrebbe poi incontrato il Torino in finale che ai tempi non era un grande avversario e vincendo la Coppa Italia si arrivava in Europa. E per noi ragazzi entrare in Europa era come andare in America, era cambiare la vita, ecco perché mi ritrovo in quel bambino sognatore.
Se tu volessi scegliere una colonna sonora per “Aria d’estate”, quale sceglieresti come brano?
Non ho assolutamente dubbi: le parole di questo cantautore e le sue canzoni hanno un po’ ispirato i miei racconti e mi ritrovo molto nelle sue parole. La colonna sonora perfetta per me sarebbe Amore bello di Claudio Baglioni, che io amo moltissimo come cantautore. Perché l’amore è quel qualcosa in più, ti dà quello slancio per superare le difficoltà di cui spesso ci si trova a far parte della vita e non sai neanche come ci sei finito dentro, però l’amore aiuta tanto. Le parole di questa canzone sono bellissime. Un altro brano di Baglioni in cui mi ritrovo è Questo piccolo grande amore: insieme ad Amore bello hanno ispirato quello che ho scritto.
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