La musica classica non passa mai di moda, nonostante l’evoluzione dei generi musicali nel tempo e nonostante le tendenze che cambiano ciclicamente. E c’è chi come questo personaggio che abbiamo intervistato per La Ragnatela News ha ben pensato di portare avanti un progetto che mescola la musica classica con le sonorità elettropop contemporanee che strizzano l’occhio ad atmosfere di una volta, in particolar modo a quelle degli anni ’80. Un progetto racchiuso in un disco, uscito il 18 dicembre, chiamato “Opera”. Un personaggio che può essere considerato a tutti gli effetti un’eccellenza italiana nel mondo e la sua musica ha fatto colpo persino su Michelle Obama che lo ha invitato a suonare alla Casa Bianca. Vi presentiamo il Maestro Gabriele Ciampi!
Lo scorso 18 Dicembre è uscito il tuo ultimo disco “Opera”, un disco sperimentale caratterizzato dalla contaminazione tra sonorità classiche e sonorità contemporanee, con l’inserimento dell’elettronica nell’orchestra tradizionale. Come è nata l’idea di portare avanti questo progetto?
Tutto è nato durante il lockdown. Già a maggio dello scorso anno eravamo usciti con un singolo, una canzone che rappresenta un messaggio di speranza, “She walks in beauty”, ispirato all’omonimo poema di Lord Byron. Ho continuato a sviluppare queste nuove idee nel corso dell’intera estate. L’idea di base era quella di continuare un po’ la sperimentazione che avevo intrapreso con l’album precedente “Hybrid”. La musica classica è molto schematica, la musica elettronica si basa sulla ricerca della sonorità. Quello che a volte manca nella musica elettronica è proprio la struttura, si cerca poco di lavorare su uno schema ma si lavora più sul suono. Allora ho pensato di creare questo mix partendo da una base molto rigida, classica aggiungendovi delle sonorità vintage, tipiche degli anni ’80. Ho lavorato con il moog, con sintetizzatori vintage, proprio per ricercare quel suono particolare di quel periodo, un periodo molto bello in cui la musica elettronica ha fatto la differenza. Oggi, lavorando col computer, è tutto un pochino più freddo. Abbiamo quindi dei brani, come ad esempio alcune sonate o un brano intitolato Fuga, una fuga a 4 voci in cui però non ci sono strumenti classici che la interpretano ma ci sono solo strumenti moderni ed elettronici, quindi sintetizzatori, batterie e chitarre. E questo è un po’ il concept del disco, riuscire a unire questi due mondi, modernità con la base di una struttura rigida. Questa è stata un po’ l’idea che ha permesso di realizzare questo disco prima di tutto al pianoforte, perché sviluppo sempre la parte armonica e la struttura, e poi con i sintetizzatori andare a lavorare sui suoni.
Tra l’altro le sonorità tipiche anni ’80 sono tornate prepotentemente in voga negli ultimi anni anche a livello pop internazionale. Cosa pensi di questa nuova tendenza del “ritorno al passato” che sta dominando nel pop internazionale?
L’innovazione attinge sempre dal passato, e il fatto di ritornare al passato è un po’ come quando ad esempio ritorniamo al vinile: ci sembra una cosa nuova ma si tratta di una cosa superata una decina di anni fa. Non c’è innovazione senza tradizione, per cui ben venga tutto ciò che viene dal passato che ci permette di ripartire e cambiare le cose. La cosa importante è secondo me prendere tutto il buono che c’è stato negli anni passati e magari aggiungere degli elementi innovativi, è per questo che non si può più inventare niente perché secondo me dopo Mozart e Beethoven è stato inventato di tutto musicalmente parlando. Si possono però creare delle cose più o meno interessanti e quindi ben venga questa contaminazione, ben vengano le sonorità vintage nel pop, così come nel classico. E’ un bene che ci sia questa contaminazione di base.
Hai più volte dichiarato che Opera è un disco dal significato fortemente metaforico. Il disco rappresenta l’idea del dialogo tra l’universo maschile e l’universo femminile. Cosa rappresenta per te il rapporto tra la donna e la musica?
Opera è un disco che parla sempre alle donne, però con un messaggio che questa volta parte da un uomo. Assistiamo sempre a donne che parlano alle donne e credo ci sia necessità anche qui di fare un grosso salto in avanti, un grande cambiamento, quindi deve essere un uomo che parla ad una donna. E in che modo? Nel modo migliore possibile: ossia, rendere partecipe la donna all’interno del processo creativo. Quindi non più la musicista è soltanto un’interprete ma prende parte alla vita della composizione stessa. Per cui nel momento in cui mi siedo al pianoforte e dialogo con la violoncellista Livia De Romanis nel brano It’s on Me cerchiamo insieme di andare oltre quello che effettivamente ho scritto sulla carta. E questo dialogo, questa unione che si genera tra uomo e donna porta qualcosa di straordinario come poi è effettivamente la vita. Quindi in questo album veramente questo dialogo e questo lavoro creativo è ai massimi livelli quindi non c’è più questa collaborazione tra compositore e interprete ma insieme si prende parte al processo creativo, e quindi secondo me questo è un passo molto molto importante.
E avevo in mente proprio una domanda su “It’s on Me” che è un brano di speranza ma anche un brano che parla di violenza sulle donne, un brano di denuncia, e la musica è spesso una forma di denuncia importante, un veicolo attraverso il quale estendere un tema scottante a una certa fascia di popolazione. Sei d’accordo con questa idea?
Sì, sono d’accordo. In generale le arti servono proprio a questo, ma la musica in particolare è l’arte che più di tutte esalta questa caratteristica. La musica è secondo me l’unica vera arte universale che dovunque sei, non importa che lingua si parli, può enfatizzare particolari messaggi. E nel caso di Opera il messaggio all’universo femminile è chiaro con il brano “It’s on Me” che denuncia appunto delle violenze subite dall’autrice Desirée Picone e io attraverso la musica ho dato voce a questo problema che altrimenti sarebbe rimasto un po’ nel cassetto. Quindi a volte la difficoltà è proprio denunciare, e la musica può in qualche modo aiutare, quindi l’arte secondo me quando si pone al servizio del sociale è sempre un qualcosa di buono: ci sono tante donne vittime di queste violenze che possono essere fisiche ma anche psicologiche e sicuramente la musica è il mezzo principale per poter aiutare. Quindi sì, l’arte in generale serve anche per trasmettere un messaggio sociale di forte impatto.
La figura femminile si riflette in un altro brano del tuo nuovo progetto, “Silenzio”, aria d’opera che chiude l’album in cui Jujie Jin canta una melodia e la sua voce diventa uno strumento dell’orchestra. La voce che canta le note. Anche questa singola componente del disco si collega al tema centrale dell’album?
Sì, esatto, questa è un’altra caratteristica: e la scelta della chiusura del disco con questo brano non è casuale, perché alla fine io vengo dal mondo classico. Non a caso è un disco che si chiama per l’appunto “Opera”, intesa come la mia opera musicale, quindi l’idea che ho io di un’opera musicale a 360°, e chiuderlo con un brano da opera lirica mi è sembrata una scelta consona. Silenzio posso infatti considerarla un’aria a tutti gli effetti, dal punto di vista della scrittura, della struttura… E con Jujie Jin abbiamo fatto un’esperimento, per cercare di far entrare la voce all’interno dell’orchestra, quindi la sua voce diventa uno strumento ed era la prima volta che ciò accadeva, perché nelle arie d’opera si canta sempre con il libretto, con un testo, quindi è una nuova idea dell’aria d’opera, l’esperimento ha funzionato. Inoltre lei ha una voce molto corposa, dialoga molto bene, non sovrasta, ma si inserisce e a volte anche contrasta con l’orchestra stessa. Secondo me non è quindi necessario avere per forza un testo: a volte la voce da sola può entrare nelle note. E quindi questo è stato un bellissimo esperimento e una cosa che continuerò sicuramente a fare.
Per quanto riguarda la tua carriera: sei l’unico italiano presente nella giuria dei Grammy Awards. Parlaci di questa opportunità e del ruolo che ha la musica italiana e in particolare la musica classica italiana nel panorama musicale internazionale.
La musica classica italiana è ancora oggi molto popolare all’estero, penso ai grandi compositori italiani o all’opera. Però purtroppo arriva sempre quella del passato. Oggi grandi interpreti non arrivano più, grandi registrazioni non vengono più ascoltate, però i grandi compositori del passato, le grandi opere, vengono comunque riprodotte. Il problema non è quindi tanto sulla musica classica ma proprio sulla musica leggera: la grande tradizione italiana si è persa, e negli ultimi dieci anni c’è una tendenza a scopiazzare quello che arriva dall’America. Quindi in realtà i brani non sono innovativi, gli arrangiamenti non sono innovativi. E la dimostrazione è che anche ai Grammy Awards non ci sono mai artisti italiani. C’è stato un tentativo lo scorso anno di Bocelli ed è finito lì, ma al di là di quello, magari prendere una nomination, ma poi alla fase finale non arriva nessuno. Dobbiamo assolutamente tornare alla grande musica italiana. Noi abbiamo una importante tradizione di melodie, di grandi orchestrazioni, questo dobbiamo fare. Non diffondere in Italia magari un rap che non è nelle nostre corde. Non veniamo dall’hip hop, non abbiamo questa tradizione. L’hip hop è cultura, ma bisogna anche sapere cosa si fa. Io vedo a volte questi ragazzi, questi rapper che parlano di testi contro il Governo… ma si tratta più di una rabbia personale che di un’arte. Oppure ce ne sono altri che invece vogliono stupire con giochi sul vestiario, sull’abbigliamento. Io sono un fautore di Sanremo, mi piace tanto perché abbiamo un qualcosa di eccezionale e che celebra la musica italiana. Però è sfruttato male, perché poi molti giovani vanno sul palco e cosa fanno? Si cambiano d’abito, stupiscono coi costumi, ma poi nessuno si ricorda i brani, le voci, spesso insignificanti. Questo è il vero problema. Alla base manca proprio quello studio, quel talento che una volta c’era e che oggi purtroppo si cerca molto meno, a favore del successo mediatico e del successo online, dei followers. Questa non è musica, questa non è arte.
Cosa consiglieresti quindi a un giovane per farsi strada nel mondo della musica?
Semplicemente lo studio, basta solo questo. Non è che noi abbiamo studiato dieci anni nei conservatori e siamo tutti scemi, ci sarà un motivo se prima di affrontare un’orchestrazione o una direzione d’orchestra si studia dieci anni. Oggi sono tutti ragazzi improvvisati, veramente trovare dei talenti oggi è difficile. Ci sono delle voci più interessanti che però hanno delle canzoni sbagliate, che magari vengono scritte da amici piuttosto che chi non ha una competenza musicale. Quindi quello che consiglio è semplicemente lo studio, studio di uno strumento, studio della composizione, studio del canto. Ci sono tre fasce di studio però servono anni di studio per formare una voce, per creare una capacità compositiva e creativa, e anni di pratica dello strumento. Sono veramente pochi i casi nella storia della musica in generale di artisti che hanno lasciato un segno avendo alle spalle zero studio. A volte qualche giornalista mi cita i Beatles e John Lennon, ma si dimentica che John Lennon aveva anni e anni di studio dell’armonia alle spalle. C’è sempre un elemento anche in una band che ha anni di studio alle spalle, se si va ad analizzare. Penso, senza andare troppo lontano, a Bruno Mars che vinse i Grammy: lo votai qualche anno fa ai Grammy, e ha alle spalle anni di pianoforte e di esami di conservatorio, pochi sanno questo. E quindi nel momento in cui si può analizzare c’è sempre un filone che riporta allo studio. Quindi l’unico consiglio che posso dare è quello di studiare veramente tanto.
Tra le varie soddisfazioni che ti sei tolto nel corso della tua carriera, nel 2015 hai diretto il concerto di Natale alla Casa Bianca, su invito di Michelle Obama. Parlaci di questa tua esperienza.
Esperienza che ricordo ancora oggi con piacere, con forte emozione. Non capita tutti i giorni, e semplicemente ho mandato un mio brano. Esperienza che ancora oggi ricordo con piacere, con forte emozione, non capita tutti i giorni. Ho mandato un mio brano, un mio album che è “Minimalist evolution” direttamente a lei e poi dopo sei mesi ho ricevuto una e-mail con invito a suonare. Al di là della soddisfazione personale che è stata ovviamente enorme, c’è da dire che c’è stata una grande considerazione proprio per l’Italia, per la musica italiana. L’esibirsi per la prima volta per un compositore italiano all’interno della Casa Bianca, di quel salone particolare dove Reagan ha ballato con Diana è stato emozionante… c’è tutto un contesto storico importante, però lì ho capito che c’è veramente questa voglia di Italia e di ascoltare la musica italiana. Per cui noi siamo effettivamente geniali in quello che facciamo. Però bisogna cercare di crederci un po’ di più perché poi alla fine dall’estero veniamo anche presi come esempio. Spero di rivedere anche altri italiani a varcare quella soglia perché c’è proprio la necessità di avere più musica italiana all’estero, e purtroppo ne arriva troppo poca. E’ stata sicuramente una delle esperienze più belle della mia carriera.
E se non sbaglio quello era solo il tuo terzo anno di musica…
Sì, ho iniziato ufficialmente nel 2011 con la parte concertistica e discografica perché ho fatto dieci anni di conservatorio e composizione e poi nel 2011-2012 ho iniziato la carriera concertistica e poi la parte discografica legata poi a Universal e ai quattro dischi. Adesso sono al quarto album, primo album pubblicato nel 2012, primo concerto nel 2011 e quindi ho iniziato questa avventura che mi ha portato molto sul live. Adesso stiamo vivendo un periodo in cui è sospesa questa attività ma abbiamo trovato delle alternative: la cosa importante è non fermarsi, quindi questo album “Opera” alla fine segna anche un nuovo modo di produrre la musica, perché durante il lockdown non potendo andare in studio sono stato costretto a lavorare a distanza e a produrre a distanza. E non è una cosa semplicissima per chi è abituato a lavorare con un’orchestra di 40 elementi e all’interno di uno studio di registrazione.
Quindi possiamo confermare che lo scorso anno si è fermata la musica dal vivo ma non la musica in generale che ci ha tenuto compagnia in questi momenti di difficoltà…
Sì, assolutamente, anzi. Io penso che qui rimarrà in piedi solo chi ha delle idee, avrà delle idee innovative e chi faceva un po’ di aria fritta possa essere spazzato via. Quindi in questa situazione ci sono dei lati secondo me positivi che permettono a tutti delle possibilità, bisogna essere più creativi e bisogna avere delle idee nuove. Quindi io ci vedo dei lati positivi in tutta questa rivoluzione che c’è stata, la musica non si è assolutamente fermata. Si è fermata la musica dal vivo, ma una volta che ripartirà anche la musica dal vivo si tornerà a valorizzare anche il teatro che è il luogo deputato per eccellenza all’intrattenimento. Quindi vedo dei lati positivi in tutto questo.
L’apertura del tuo album è invece affidata a “Infinito”, brano legato al nuovo photobook di Donna Ferrato (nota fotografa statunitense) “Holy”. Cosa pensi di questo progetto?
Questo è un altro modo per portare avanti un messaggio sociale molto importante. Donna Ferrato è stata una leggenda vivente della fotografia, ha rivoluzionato la storia della fotografia negli Stati Uniti. E non solo, perché una decina di anni fa ha raggiunto il successo internazionale. Ma lei è sempre stata la prima a documentare con le immagini la violenza subita dalle donne. Perché le donne vent’anni fa avevano paura di denunciare questi episodi e lei attraverso la fotografia è stata la prima in assoluto a farlo. E quindi quest’unione tra musica e fotografia non ha fatto altro che rafforzare questo concetto che sta dietro alle foto crude di Donna Ferrato per cui è un invito anche a denunciare. Quindi da qui la forza dell’arte. E anche la musica come già detto ha questo ruolo di rafforzare un messaggio. Questo messaggio è sicuramente un messaggio molto forte e attraverso la musica che a volte è andata in contrasto con le immagini molto crude ho cercato proprio di ampliare questo messaggio. Non contrastarlo ma cercare di diffonderlo ulteriormente. E questa cosa è stata possibile proprio andando in contrasto con le immagini stesse. Tra le immagini crude c’è quindi anche una musica dolce che però ha dei picchi orchestrali, dei picchi emotivi molto forti. E questo permette di far arrivare e diffondere il messaggio ulteriormente, quindi è stata un’esperienza veramente molto bella dal punto di vista professionale e poi dal punto di vista del messaggio sociale.
Quindi anche una singola canzone può rappresentare in modo dinamico una fotografia.
Certamente, anche soltanto un quadro. Ogni brano può descrivere quello che si sta vedendo e la musica tranquillamente può descrivere un quadro piuttosto che una fotografia o un video semplicemente con poche note. E sicuramente il bello della musica è proprio questo, anche soltanto un brano ma anche un solo strumento, bastano poche note.
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