Cara mamma, mi risolvo a scriverti qualcosa che ho rimuginato a più riprese negli ultimi anni, non so dirti quanti. Lo faccio perché ti vedo in bilico tra il rischio di compromettere definitivamente qualcosa e l’occasione di rivalutarla e confido di poterti dare un’affettuosa spintarella verso la direzione che ritengo giusta. Ti voglio parlare di cose che forse non sai – o che a suo tempo hai voluto ignorare – nel tentativo di farti vedere il lumino che molti anni fa ha invertito il mio cammino e con esso le sorti della mia vita e di tutti i miei affetti.
Ti scrivo al computer perché la mia grafia, nient’altro che una strampalata brutta copia della tua, non garantirebbe che ti giungano tutte le mie parole e farebbe questa mia troppo, troppo lunga.
Anche se forse non mi ricordate così, perché avete cancellato tutte le ombre per serbare solo la memoria delle luci, io ero una bambina aspra e saccente, superba e acida.
Talmente presa da me stessa da non considerare abbastanza nessun altro intorno, da non averne rispetto né considerazione né ascolto.
E intorno a me c’era prima di tutto mia sorella, una bambina tonda e morbida di forme e di indole.
Per non so quale oscuro motivo, forse plagiata dalla vostre sfacciate apologie di me, mi ha amato fin dalla nascita di un amore incommensurabile e ostinato, manifestato continuamente in mille minuscole e deliziose attenzioni e in una ricerca spasmodica e incessante della mia compagnia.
Ma io non la “vedevo” e tutto quel suo amore, che chiedeva di continuo mutuamente di essere ricambiato, mi dava fastidio.
Così intenta ad affermare la mia libertà di sentimenti e a non volermi sentire costretta a volerle bene, non mi accorgevo di tutti gli ottimi motivi che avrei avuto per farlo.
Ma non mi limitavo ad ignorarla.
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Ero rabbiosa e insofferente e le riservavo continue staffilate emotive e psicologiche, quasi a dissuaderla dal volermi bene.
Ma non ci riuscivo.
Nulla valeva a scoraggiarla, nulla l’allontanava, da ciascuno degli stati di mortificazione in cui la gettavo, sembrava riemergere più appassionata.
Ed è stato così per anni.
Credimi, mamma, gliene ho fatte di tutti i colori: dallo spintone che le fece ammaccare con la testa il copritermosifone, alla cattiveria che avrei buttato lei giù dalla torre, piuttosto che il compagno di banco delle medie.
E il peggio doveva ancora venire.
Arrivai ad intromettermi nelle sue relazioni personali, ormai adolescenti, con lo scopo di “smontarla”, umiliandola con atteggiamenti sfrontati e gravissimi, che avrebbero indotto in chiunque un odio eterno.
E la cosa più terribile è che lo facevo scientemente, che volevo ferirla.
Non sopportavo la sua pretesa d’amore.
Ma lei non mollava.
Glissò sui miei vergognosi atteggiamenti come se non l’avessi mai tenuti e continuò ad essere amorevole, tenera, attenta.
Continuò ad anelarmi.
E così mi insegnò cosa vuol dire “amore incondizionato”.
Mi insegnò la tenerezza, il vero perdono, la generosità.
Voi eravate distratti.
O forse io ero così abile e lei così fedele da non lasciar trapelare niente.
Un giorno tornavamo dal liceo a piedi (io facevo l’ultimo anno, credo) e ci fu l’ennesimo diverbio.
Una sua frase, allusiva ai miei sentimenti e la mia reazione violenta.
La spintonai per la strada e le si dipinse sul faccino tondo quella espressione mortificata e sbigottita che seguiva ogni mio sgarbo.
Quella volta, ancora una volta, implorò con lo sguardo di capire il perché di tanto accanimento.
E all’improvviso la “vidi”.
Vidi quel suo lumino interiore che brillava da sempre accanto a me e l’aveva guidata sempre avanti, sempre oltre, nel tentativo tenace di farsi vedere.
E all’improvviso cambiò tutto.
L’amore che mi aveva tributato ogni giorno, goccia a goccia, per anni, proruppe dentro di me come un’alluvione e mi travolse, sommergendomi per sempre.
Le scrissi una lettera e voltammo pagina.
Lei rimase quella di sempre. Affettuosa, presente, amorevole.
Io cambiai atteggiamento.
Ora la “vedevo” ed era sempre gentile, sorridente, allegra.
La consideravo e mi accorgevo che era intelligente, determinata, ragionevole, dotata di una sensibilità non comune.
L’ascoltavo e mi accorgevo che aveva una mente profonda e vivace, capace di elaborare più idee e pensieri in 10 minuti di quanti io ne avessi in ore e ore.
E che aveva una buffa sorprendente fantasia.
E che mi faceva tanto ridere.
Siamo due donne, nemmeno più giovani.
E lei ha ancora quella buffa sorprendente fantasia.
Dai miei diciott’anni, non ho mai più lasciato la nuova rotta intrapresa e spero di averla in parte compensata di tutto il disamore dell’infanzia.
Di certo, ho capito il valore del suo amore, il suo valore.
Vale a farmi sentire meno sola quando il mondo mi sembra estraneo.
Vale a parlare senza filtri, come a me stessa.
La amo anch’io.
Guardala meglio anche tu.
Sono certa che la “vedrai”.
Scribacchina
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