In tutti questi mesi di “baruffe” fra di noi, dall’estate scorsa a oggi, non ho mai visto il tuo cuore fare capolino. Solo calcolo, strategia, pianificazione. Io singhiozzo e tu mi guardi con fastidio. Provo a parlarti e mi rispondi male. Ti faccio domande e ti irriti. Non una volta che mi abbia stretto fra le braccia, parlato guardandomi negli occhi, rassicurato. Però c’è qualcuno con cui lo fai benissimo.
L’estate scorsa dopo i litigi e i pianti, ci eravamo “ritrovati”, dici tu. E infatti mi aspettavo che i tuoi atteggiamenti adoranti verso l’altra sarebbero spontaneamente scomparsi. Pensavo che il fatto di flirtare con lei tutto il giorno, fosse un “ripiego” per la mia distanza. Però mi sbagliavo. Quando a settembre, dopo vacanze felici, siamo tornati alla vita normale, il tuo atteggiamento con lei era identico se non più solerte, più attento, più carezzevole. Così mi sono nuovamente bloccata, consumata, disperata. E tu ti sei nuovamente irrigidito, ritratto, incazzato.
Adesso ci risiamo. Ci siamo ancora scontrati e io ho di nuovo pianto e singhiozzato. Tu hai di nuovo eretto il muro: non chiedere, non guardare, non sentire. Non ti immischiare, non pretendere, non mi parlare. Io non parlo, hai detto, faccio. E sei partito, lancia in resta, per la missione del nuovo ufficio. Sappiamo entrambi che non l’hai fatto per me. Anzi, tu stesso – che non sei bravo a mentire – hai detto che così lei lavora meglio. Ma se hai veramente creduto di farlo anche per me, hai toppato in pieno. Hai fatto l’esatto contrario di quello che ci sarebbe voluto. Hai nascosto, allontanato, coperto. Invece di aprire, condividere, sdrammatizzare. E non ti sei fermato lì. Hai agito alle mie spalle nascondendomi delle cose. Sei andato a prenderla e a riaccompagnarla a casa, le hai portato la bici, sei salito con lei. So perché l’hai fatto. Per confermarle che nulla è cambiato fra di voi e io non posso in alcun modo interferire. Ma così l’hai confermato anche a me.
Ancora una volta, dopo gli scontri e i “ritrovamenti”, mi aspettavo che il tuo atteggiamento cambiasse spontaneamente. E ancora una volta, no. Non serviva farle da cavalier servente, ha una macchina e sa guidare. Non avresti dovuto salire a casa sua. Avresti dovuto dirle che ci saresti tornato volentieri con me. E non serviva nemmeno che ti invitasse a farlo… ma non era tanto dispiaciuta? E allora perché non se ne sta al suo posto? Mi stima tanto, mi è tanto grata per averle trovato la struttura per il suo intervento… però non rinuncia alle lusinghe e alle coccole di mio marito.
Ogni più piccola cosa che mi hai nascosto si è ingigantita nella mia mente, centuplicata. E mi ha logorato e mi logora, ogni giorno, immaginando quante altre ce ne saranno state e ce ne saranno. Sono troppo concentrata su di te, hai detto ma tu sei troppo concentrato su di lei. Sono sfinita di vederti e sentirti continuamente preoccupato di cosa pensa, di come sta, di come si sente, di cosa le serve. Lo fai per l’azienda, dici ma francamente non lo tollero. E poi perché? La sua mitica efficienza professionale funziona solo se la corteggi tutti i giorni?! Basta, ti prego. Basta umiliazioni.
Ce n’era proprio bisogno? C’era proprio bisogno di parlare con lei dei nostri problemi? C’era proprio bisogno di aggiornarla passo passo di tutto, di metterla a parte del mio disagio? Non sarebbe stato sufficiente dire che preferivi starmi più vicino? Passare più tempo con me perché mi va male il lavoro o qualsiasi altro pretesto? Ma davvero la ritieni così “signora” che non uscirà niente con nessuno? Mi sembra di sentirle le battutine e le allusioni nel capannone, con gli operai o chissà chi altro, quando io non sarò più lì a sentire… Mi sento la strega molesta e cattiva da cui scappate, tutti d’accordo fra voi, in perfetta armonia e alla mia faccia. Mi hai ridicolizzato. In ufficio l’aria si taglia col coltello ma tu sei preoccupato solo del suo benessere psico-fisico. Ma anche io ne soffro molto e in questa situazione mi ci avete messo voi. Di me però non te ne curi. Sono solo l’ingombro da aggirare.
Volevi accompagnarla ad abortire, accompagnarla sulla tomba di suo figlio. Ma questo non è compito tuo. Ha un marito. Addirittura ti sei permesso di insistere con un collega perché la invitasse al suo matrimonio, come se fosse una presenza assolutamente irrinunciabile e preziosa, sempre e ovunque. Ma magari non la pensano tutti come te.
So di avere una colpa grande per averti respinto a lungo. Ma ti assicuro che nemmeno io mi divertivo. Mi sentivo tremendamente sola e ti punivo. Perché tu, con l’arrivo dei bambini, avevi tirato su i tuoi primi muri. Ma non ho avuto nessun altro affetto. E ho lasciato la patata sola, a far la muffa. E nemmeno allora ho mai visto il tuo cuore fare capolino. So che a tua volta mi stai ancora punendo, come mi hai punito in questi anni silenziosamente con i tuoi piccoli dispetti. Non rispondere al telefono o ai messaggi. Non citofonare se eri sotto casa. Guardarmi fare le cose e incazzarti della mia lentezza piuttosto che aiutarmi. Non condividere i “segreti” degli amici, perché io sono una pettegola… So che mi stai ancora punendo ma non ce la faccio più. Non reggo più l’umiliazione, l’amarezza. Mi si contorcono le viscere.
Ormai sono vecchia e non voglio aspettare che la patata mi si secchi senza usarla. Ma il sesso non basta a ritrovarsi. Io ti amo ancora e ancora mi aspetto segni d’amore. Ma tutte quelle che mi hai infilato negli ultimi tempi non mi sembrano segni d’amore. O forse sì, però per lei.
Sei stato fuori una settimana e mi hai chiamato una volta. Quante volte al giorno hai parlato con lei? Oggi al ritorno sei stato carino ma temo la prossima che dovrò ingoiare. E purtroppo non sono la pazza visionaria e mentalmente alterata che mi consideri: “beh si, abbiamo un rapporto speciale…”, “beh si, vedendoci si potrebbe credere…”. Sono parole tue. Me lo hai detto tu.
Io voglio sentirmi serena, al sicuro. Non voglio invadere la tua vita né controllarla. Sono contenta che hai tanti amici, tanti interessi, hobbies e passatempi vari. Ma non mi voglio sentire minacciata, da niente e da nessuno. Io sono tua moglie e vorrei che non fosse solo una parola. Non accetto che tu mi metta sulla stesso piano della tua segretaria e tanto meno su un piano inferiore.
Sono stanca, credimi, spossata. Mi sveglio la notte e rimango a rimuginare. Non volevo che potessi dirmi un’altra volta “non avevo capito” e così te l’ho scritto.
Ti odio perché non mi ami. Ora sai cosa vuol dire.
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