Quando Bob Kane, Bill Finger e Jerry Robinson idearono nel 1940 il “Joker”, uno degli antagonisti più agguerriti e colorati di Batman, non pensavano di certo che il loro personaggio sarebbe stato materia di attenzione della settima arte, capace nel suo essere un mezzo immediato e vivo, di portare sul grande schermo uno tra i personaggi più complessi dell’universo di Batman. Sadico, eccentrico, psicopatico, pittoresco, vanitoso e burlone, il Joker ha avuto così tante interpretazioni sulle pagine del fumetto di Batman che i suoi confini narrativi non sono mai stati netti e prestabiliti, fornendo così, all’autore di turno, grandi possibilità nel plasmare il personaggio adattandolo alla propria visione.
Al di fuori del fumetto, la carriera del personaggio inizia con la trasposizione televisiva negli anni ’60 con lo show edulcorato di Batman che vede Cesar Romero nei panni del Joker “sorridente”.
Un’interpretazione che, nel suo essere frivola e teatrale, restituiva la parvenza del fumetto di quegli anni i cui cupi ambienti e inquietanti storie arriveranno solo due decenni dopo, con il capolavoro di The Killing Joke.
La graphic novel del 1988, firmata da Alan Moore e Brian Bollard, segna infatti il passo tra quello che era stato un personaggio tutto sommato pittoresco, e volontariamente caricaturale, con quello che poi sarebbe divenuta la massima espressione della follia perversa all’interno dell’universo di Batman. Il Joker è qui portato agli estremi con una precisione maniacale, mostrando un passato sconosciuto ed evidenziando lo strano rapporto che lo lega con il paladino della giustizia di Gotham.
Il passo successivo è breve, perché il lavoro di Alan Moore trova per certi versi conferme nelle visioni cinematografiche di Tim Burton che, nel 1989, porta sul grande schermo il suo Batman con un Joker perfettamente interpretato da Jack Nicholson, in linea con il fumetto di Moore. L’attore, sempre molto attento all’interpretazione dei suoi personaggi (dava il consenso al design degli abiti che avrebbe indossato per il personaggio) e fortemente voluto da Bob Cane – creatore di Batman – che vedeva in lui la naturale estensione cinematografica del suo villain, fu ingaggiato dopo una lunga trattativa e con un cachet diventato all’epoca il più alto al mondo: 6 milioni di dollari.
La scelta fu però corretta perché il film ne incassò ben 411!
Siamo lontani dal Joker di Cesar Romero, sia come interpretazione e, soprattutto, come contesto narrativo. Il personaggio di Nicholson è cupo, ha uno spessore di malvagità tangibile che il suo predecessore televisivo neppure avrebbe mai potuto mettere in campo e il suo ghigno non è frutto di un sorriso forzato piuttosto di una esagerazione del trucco che tuttavia, nel suo essere in parte artefatto, ne delinea visivamente la follia e il suo essere criminale. Un’esegesi magistrale.
La trilogia di Christopher Nolan spezza, tra il 2005 e il 2013, il legame con il fumetto. L’idea è adesso quella di presentare un contesto narrativo più reale dove i personaggi, benché di fantasia, devono in qualche modo “funzionare” come tutte le cose del nostro mondo.
Il Joker di Nolan è quindi concreto. Se esistesse veramente sarebbe una copia identica dell’interpretazione che ne ha fatto il compianto Heath Ledger. Superbo e realistico, a partire proprio dall’abbandono di quei gadget super sofisticati a favore di “semplici” armi da fuoco, l’attore si immedesima così tanto nel personaggio, in una maniera quasi simbiotica, che non si riesce a capire dove finiscano i pensieri del suo personaggio e dove inizino quelli dell’attore, restituendo in questo modo una fotografia credibile e puntuale di un Joker in grado di rimanere impresso nella storia del cinema.
Nel 2016 è la volta del film Suicide Squad di David Ayer dove l’interpretazione di Jared Leto è quello con il potenziale meno espresso nella storia del Joker. La recitazione di Leto, come attore, non ha avuto quello spazio che avrebbe meritato e parecchie delle sue scene furono addirittura tagliate in montaggio, causando alti contrasti tra Leto e la produzione. Probabilmente un’occasione mancata per tutti, produttori compresi, per presentare l’incarnazione di un nuovo Joker da parte di un attore, comunque capace e di spessore, vincitore di un Oscar come miglior attore non protagonista nel 2014 per Dallas Buyers Club.
L’ultima incarnazione cinematografica del clown di Gotham, il Joker di Todd Phillips – che ha vinto il Leone d’Oro alla 76a Mostra del Cinema di Venezia e che sta raccogliendo grandi consensi di critica e di pubblico – interpretato da Joaquin Phoenix, deve molto alle produzioni precedenti.
Non tanto per adoperarle come trampolino di lancio per l’ennesima evoluzione del personaggio ma piuttosto per discostarsene e descrivere invece una propria visione dell’antagonista dove l’accento, questa volta, viene fissato sul disagio sociale e sull’evoluzione emotiva del personaggio. Elementi che caratterizzeranno la forma e l’espressione di quello che sarà il futuro Joker. E così troviamo Arthur Fleck, un qualunque signor Nessuno, che in preda ad una sofferenza mai totalmente assopita, per via di danni neurologici avuti a causa di maltrattamenti infantili e di una relazione familiare ai limiti del patologico, inizia un processo di trasformazione senza via di ritorno.
Una personalità violentata dall’emarginazione sociale e dalla mancanza di sostegno psicologico e farmacologico, per via della perdita del lavoro, che porterà Arthur a liberarsi dai controlli “artificiali” di una società che non è in grado di seguire e curare adeguatamente quegli individui che, per condizione o situazione svantaggiata, sono totalmente invisibili ai più.
Arthur manifesterà così i suoi istinti più profondi dandosi finalmente una possibilità di riscatto e pagando con la peggiore delle monete: la violenza.
L’interpretazione di Joaquin Phoenix è al momento una delle sue migliori e di sicuro non passerà inosservata alla prossima notte degli Oscar. Attore di talento, già distintosi per il film biografico su Johnny Cash, ha deciso di calarsi nei panni del Joker indagando le inquietudini del suo personaggio che non sono alimentate da un substrato di malvagità bensì da un disagio psicologico frutto del contesto e del percorso personale del protagonista. Un lavoro immenso, un viaggio di certo difficile dentro l’anima di questo personaggio bisognoso di un aiuto che improvvisamente gli viene negato e che ha portato Phoenix a relazionarsi con gli aspetti più profondi della personalità del Joker.
Una performance notevole che ci porta a comprendere come anche il più cattivo dei cattivi ha in fondo, per quanto difficile da comprendere e da accettare, una sua logicità d’essere
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