Confindustria spinge per avviare la “Fase 2” dell’emergenza Coronavirus, quella delle graduali riaperture in concomitanza con un calo dei contagi e un appiattimento della curva di crescita degli stessi. Una decisione rischiosa, che data la bassissima percentuale di popolazione contagiata, quindi immunizzata (anche se non c’è esatta corrispondenza), porterebbe ad un nuovo picco nelle prossime settimane.
La crisi è arrivata in quella zona grigia in cui la cura potrebbe diventare peggio della stessa malattia. Ci avviamo verso la più grave recessione dai tempi del ’29, della Grande Depressione, in un mondo che probabilmente non ha ancora superato del tutto lo schock del crollo del 2007-2008.
La ragione è presto detta, un rovinoso blocco della domanda che ha portato i bilanci delle imprese in gravissimo rosso, il cui salvataggio e risanamento da parte dello Stato potrebbe essere difficilmente sostenibile a livello macroeconomico. Per risanare le perdite si dovrebbe procedere con una delle più grandi iniezioni di liquidità della Storia.
D’altro canto, riaprire improvvisamente decidendo di sacrificare vite umane potrebbe innanzitutto non funzionare (il timore psicologico dell’epidemia rischia di tenere comunque la maggior parte delle persone in casa, o comunque spingerle a rinviare gli acquisti), e in ogni caso significherebbe il sacrificio della considerazione del valore dalla vita come inscalfibile.
I diagrammi di diffusione del contagio rendono chiaro il motivo per cui il Coronavirus si diffonde: dove ci sono le fabbriche, se queste sono attive, il propagarsi dell’infezione diventa inevitabile. Per questo le zone ad alta concentrazione industriale sono le più esposte e stanno pagando il prezzo sociale più alto.
Nelle aree di Bergamo e Brescia infatti, un’intera generazione di anziani sta venendo cancellata dal Coronavirus (con l’aiuto delle patologie preesistenti), con una mortalità della popolazione quasi dieci volte più alta rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti. Un dato sensibilmente diverso da quello di Roma, dove le morti sono sostanzialmente invariate, nonostante la provincia della Capitale sia l’area più colpita all’infuori del Settentrione.
Non casualmente, nello stesso Lazio, le aree che mostrano il maggior numero di infezioni da Coronavirus sono quelle che mostrano un alto numero di zone industriali, fabbriche ed “attività essenziali”.
La discussione sulla riapertura è sacrosanta, probabilmente non dovrebbe mai dimenticare il rischio che si corre per cercare di risollevare le sorti della nostra economia.
Fonte: Protezione Civile
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