Coronavirus, perché Bolsonaro si rifiuta di chiudere il Brasile?

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Il Coronavirus sembra aver stretto tutto il mondo, convinto i governi in giro per tutto il mondo a seguire il “modello italiano”, quello della quarantena e della chiusura delle attività non essenziali. Le eccezioni si contano sulle dita di una mano, a cominciare dalla Svezia per arrivare al Brasile.

Il presidente carioca, Javier Bolsonaro, è un personaggio non proprio nuovo ad uscite singolari ed un po’ sopra le righe. Questa volta è difficile però non vedere un disegno politico dietro alle sue considerazioni sul Coronavirus: la scelta è quella già sentita. Non si chiude più di tanto, solo qualche accorgimento sul distanziamento sociale.

Alcuni giustificazioni sono piuttosto insolite, a cominciare dal “clima tropicale che uccide il virus” (che dà per assodata quella che è solo un’ipotesi, ossia che i climi miti siano in grado di ridurre la contagiosità del Coronavirus) fino a “in Italia il virus sta facendo un massacro perché è un paese di vecchi”. La strategia comunicativa del presidente del Brasile è chiara, prende in considerazioni alcune ipotesi in seno alla comunità scientifica, le spaccia per verità e ne fa un’iperbole.

Una strategia che però, come riporta il Corriere, sembra non essere gradita alla maggioranza dei cittadini brasiliani, che ogni sera si mettono affacciati alle finestre e protestano vivacemente e rumorosamente contro le non-misure del governo, considerate eccessivamente lassiste.

Il contagio in Sud America sembra contenersi per il momento soltanto grazie al buon senso dei cittadini, buon senso che, come sappiamo, non è diffuso tra la popolazione al cento per cento.

Ma come mai il presidente del Brasile Bolsonaro fa finta di non vedere il pericolo del Coronavirus?

Il Brasile si sta avvicendando da anni a diventare una grande potenza economica. Già da tempo è l’economia più florida dell’America Meridionale, quella che ha raggiunto maggiori livelli di indipendenza nei confronti degli Stati Uniti.

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Il termine Paesi BRIC riassume bene le nazioni che devono stare all’erta sulle conseguenze economiche e finanziarie del Coronavirus. Brasile, Russia, India e Cina sono a loro modo protagonisti in quella che molti hanno definito una guerra mondiale.

La Federazione Russa si è immediatamente impegnata a limitare i danni, chiudendo le frontiere mesi prima che il virus si diffondesse in Europa. Il ruolo della Cina è ben noto mentre l’India ha deciso per la più grande quarantena della Storia: più di un miliardo di persone chiuse in casa per fronteggiare l’emergenza Coronavirus.

In Italia abbiamo ben noti i rischi economici di una chiusura totale delle attività, il Brasile dal canto suo, nonostante corra minori pericoli strutturali (con un debito pubblico stimato tra il 78 e l’83 del PIL), non può permettersi di rallentare la propria crescita.

Il governo verde-oro ha investito miliardi negli anni precedenti, scegliendo di far svolgere nel paese a distanza di due anni i Mondiali di Calcio del 2014 prima e le Olimpiadi del 2016 poi. Investimenti mastodontici, colossali che rischiano di essere vanificati, di scomparire nel nulla con una chiusura “all’italiana”.

Lo stesso Regno Unito ha deciso per un’opzione simile, per poi tornare sui suoi passi quando il contagio è apparso incontrollabile. I rischi di sovraccarico del sistema sanitario sono stati infine considerati come più pericolosi dei rischi economici.

Il problema di fondo è che il sistema sanitario brasiliano non è il National Health Service britannico, i rischi di sovraccarico sono ben maggiori in Sud America, dove le favelas alle periferie delle città rischiano di trasformasi in focolai enormi e pericolosissimi.

Il pragmatismo brasiliano sembra essere una enorme scommessa contro il virus, che se persa può trasformarsi in un’enorme disastro sociale.

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