Ha imperversato negli ultimi giorni un dibattito sull’obbligatorietà del vaccino, tema assolutamente delicato per l’imminenza con cui si presenta. Gli annunci sull’arrivo del vaccino per il covid hanno rinfocolato la discussione in merito alla convinzione diffusa della pericolosità del vaccino, che, presentata in vari sondaggi circolati tra giornali e televisione, indica una preoccupante percentuale della popolazione che ha intenzione di non sottoporsi all’immunizzazione, anche causata dalla facilità con cui circolano le notizie prive di fondamento scientifico, tanto da allarmare perfino l’ISS.
Tra gli argomenti maggiormente contestati da no vax e non solo vi è appunto quello dell’obbligatorietà del vaccino. La prospettiva di sottoposizione obbligatoria al trattamento sanitario è uno dei motivi per i quali si usa parlare di “dittatura sanitaria”, ma la verità è che la tematica non viene dibattuta solamente tra le file dell’ottuso complottismo vestito di arancione. L’obbligo di sottoporsi ad un trattamento sanitario confligge con il diritto a “non farsi curare”, riesumando tematiche care alla bioetica degli ultimi trent’anni e sicuramente ancora al centro di accese discussioni, come l’eutanasia.
È curioso come, tuttavia, la promozione del diritto a non essere vaccinati proviene in buona parte dalle stesse frange politiche che faticano maggiormente ad accettare l’interruzione del sostentamento in vita della persona.
Al di là delle incoerenze di principio, è il caso di provare a destreggiarsi tra alcune delle norme giuridiche attinenti al tema dell’obbligatorietà dei trattamenti sanitari, incominciando da uno degli appigli più citati (e fraintesi) nel dibattito che ha imperversato sull’argomento: l’Articolo 32 della Costituzione.
L’articolo in questione recita:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Come è facile immaginare, è proprio questo secondo comma a fungere da argomentazione per la tesi che ripudia tale obbligo. A ben vedere, tuttavia, la disposizione in esame può essere letta nel seguente modo: è possibile imporre l’obbligo di trattamento sanitario, ma solamente tramite una disposizione di legge. La seconda proposizione, invece, semplicemente specifica ancora una volta il divieto di proclamare una legge che possa violare il rispetto della persona umana e di quei principi di dignità e umanità ormai canonizzati nel nostro codice e ripetutamente affermati dalle normative sui diritti umani di stampo europeo e globale.
L’Articolo 32, dunque, non può venir letto come un’imposizione assoluta, ma, com’è ragionevole, come una disposizione che va regolata a seconda delle peculiarità del caso concreto. In questi mesi si sono susseguite violazioni di un certo peso al principio della riserva di legge sui diritti fondamentali ed è stato dibattuto febbrilmente della necessità di riformulare la definizione di “diritto assoluto”. Non sarebbe una sorpresa dunque se anche l’Articolo 32 venisse sottoposto ad una diminuzione della propria potenza nell’esplicazione di effetti giuridici.
A maggior ragione, riconosciuta la lettura data all’Articolo 32 dalla Corte Costituzionale stessa, che con la sentenza 307/1990 affermò come la forzosità di un trattamento sanitario non sia incompatibile col dettato costituzionale a patto che essa sia non solo diretta a migliorare lo stato di salute di chi vi sia sottoposto, ma anche a tutelare la salute della collettività. È infatti proprio la tutela della salute pubblica a giustificare la compressione dell’autodeterminazione di ciascuno in merito alla sottoposizione a trattamento sanitario.
Si aggiunge al già nutrito calderone di ingredienti il principio di precauzione che sovrintende l’attività della pubblica amministrazione in materia di salute. Tale principio entra in gioco nella fase di attuazione delle leggi e dunque nell’attività di erogazione del trattamento, più che nella fase di decisione in merito alla legittimità di esso. Nondimeno, tuttavia, guida l’attività del settore pubblico nel difficile bilanciamento tra il citato obbligo di tutela della salute pubblica ed un variegato novero di diritto contrastanti, non ultimo il diritto esplicato dall’Art. 32 Cost., ma anche la libertà di associazione economica, di movimento.
Il principio, in pratica, presuppone che in caso di potenziale pericolo per la salute, l’assenza di certezza scientifica non possa fungere da ragione per non procedere alla misura che, sulla base delle conoscenze ragionevolmente acquisite, offrirebbe la maggior tutela. In questo senso, la disposizione, per salvaguardare la salute pubblica, dell’obbligo di vaccinazione potrebbe non dover attendere la certezza assoluta in merito alla nocività del vaccino.
Bisogna tuttavia essere cauti: il principio di precauzione costituisce, in materia di salute pubblica, solamente un principio aggiuntivo di cui tener conto, che affianca i tradizionali principi di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza. Dunque, sarà comunque necessario che il bilanciamento tra la pericolosità del trattamento e la salvaguardia della salute pubblica attesti con ragionevole certezza il beneficio di un’ipotetica decisione a favore dell’obbligatorietà del vaccino. Il principio di precauzione semplicemente dispone che non è aprioristicamente da escludere che tale decisione possa pervenire in assenza della certezza assoluta in merito a possibili conseguenze ulteriori del trattamento.
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