Fino ad oggi si era sentito parlare solo di mutazione genetica da madre in figlia per quanto riguarda il rischio di ammalarsi di tumore all’ovaio. Classico l’esempio di Angelina Jolie che dopo aver scoperto attraverso i test genetici BRCA 1 e 2 di avere la mutazione trasmessa dalla madre, ha deciso di procedere con il trattamento preventivo togliendo utero e seno. A quanto pare però una mutazione analoga potrebbe essere trasmessa anche dai padri portando così le figlie ad avere più possibilità di ammalarsi di questo tumore silente e pericolosissimo. Questa è una ipotesi lanciata per la prima volta da scienziati americani in uno studio appena pubblicato sulla rivista PLOS Genetics e punta i riflettori sul gene MAGEC3, situato nel cromosoma X paterno.
Dagli ultimi dati circa un quarto di tutti i casi di cancro ovarico dipende proprio da una alterazione genetica ereditaria ed il numero è significativo se si pensa che ogni anno in Italia si ammalano oltre 5mila donne. L’alterazione dei geni BRCA 1 e BRCA2 nel corso della vita arrivano ad aumentare del 50% il rischio di contrarre il tumore ovarico e al seno. “Sappiamo che sono più a rischio le donne con madre e/o sorella e/o figlia affetta da tumore dell’ovaio, della mammella o delle tube – spiega Antonio Russo, professore di Oncologia Medica presso l’Università degli studi di Palermo e direttore dell’Oncologia al Policlinico Giaccone di Palermo –. Mentre il nuovo studio americano si concentra sulla trasmissione nel ramo maschile della famiglia“.
La nuova ipotesi apre ora le vie ad altri tipi di indagini, poiché i ricercatori del Roswell Park Comprehensive Cancer Center di Buffalo, nello Stato di New York, hanno analizzato i dati del registro tumori presente presso la loro struttura relativi a 186 donne con carcinoma ovarico, e individuato un nuovo meccanismo di formazione di questa neoplasia collegato al cromosoma X. “I tumori ovarici vengono classicamente distinti geneticamente in sporadici (ovvero “casuali”, il 75% del totale) e a trasmissione eredo-familiare, cioè dipendenti da alterazioni genetiche presenti fin dalla nascita che predispongono a un elevato rischio di sviluppare un tumore nel corso della vita – prosegue Russo –. Gli studiosi americani hanno riscontrato come le sorelle di persone affette da neoplasia ovarica avessero un rischio di sviluppare lo stesso tumore più alto rispetto alla propria madre, ipotizzando quindi che tale trasmissione potesse dipendere da un’alterazione genetica contenuta nel cromosoma X legato ai membri di sesso maschile della famiglia e non alle donne. Dall’analisi di queste famiglie, in cui è stata effettuata l’analisi molecolare dell’intero cromosoma X, si è visto che queste erano portatrici di una variante del gene MAGEC3″.
“Le donne che nel loro patrimonio genetico sono portatrici di due cromosomi X (XX) hanno il 50% di possibilità trasmettere alle figlie l’ipotetico gene responsabile del tumore. Mentre gli uomini sono portatori di un solo cromosoma X (XY), quindi hanno una probabilità del 100% di trasmettere l’eventuale gene alla figlia femmina, tramandando l’unico cromosoma X in loro possesso“.
Servono comunque altre indagini per confermare questa ipotesi, cosa che porterebbe così a definire due gruppi di neoplasie ovariche eredo-familiari e a studiare nuovi protocolli di screening e diagnosi precoce nell’ambito della valutazione del rischio genetico oncologico.
“Questo lavoro fornisce evidenze di come nei tumori dell’ovaio non sia solo lo studio dei geni di predisposizione genetica (per esempio BRCA1 e 2) a stabilire i programmi di prevenzione oncologica, ma sottolinea il ruolo determinante di un’attenta ricostruzione dell’albero genealogico iniziando dal ramo paterno durante la consulenza oncogenetica. Ed è auspicabile che la valutazione del cromosoma X possa in un prossimo futuro essere estesa ad altri tumori, come per esempio quello mammario, al fine di una più ampia comprensione del panorama genetico. Inoltre, se questi dati fossero confermati, padre e fratelli della donne con tumore ovarico saranno da considerare a maggiore rischio (più che doppio rispetto alla popolazione generale) di sviluppare un carcinoma della prostata e dovranno essere sottoposti a programmi di sorveglianza intensivi”.
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