L’Osservatorio della Fondazione per la Sostenibilità Digitale – la più importante Fondazione italiana riconosciuta per la ricerca sui temi della sostenibilità digitale – presenta oggi il “Rapporto 2024 su informazione tra AI, Fake News, Deep Fake”, che rivela non solo la portata delle preoccupazioni, ma anche le differenze significative legate al grado di alfabetizzazione digitale, alla sensibilità verso la sostenibilità e alla residenza geografica dei cittadini italiani verso questi temi.
L’indagine mette in luce un Paese sospeso tra diffidenza e speranza nell’era dell’informazione digitale, con profonde differenze tra chi vive nei piccoli centri e chi risiede nelle grandi città, così come tra chi è integrato nell’ecosistema digitale e chi rimane ai margini della rivoluzione tecnologica. Contrastare fenomeni come le fake news e i deepfake è fondamentale per salvaguardare la fiducia nei media e nelle istituzioni, in un contesto in cui la tecnologia amplifica il rischio e la diffusione della disinformazione.
“La diffusione di immagini manipolate tramite l’AI dimostra quanto sia semplice alterare la realtà per condizionare l’opinione pubblica. È ormai un fenomeno quotidiano incappare in contenuti totalmente falsi, creati ad hoc per screditare personaggi pubblici o deepfake progettati per influenzare elettori in occasione di consultazioni politiche” ha dichiarato Stefano Epifani, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale. “Affrontare queste sfide richiede un approccio integrato: formare i cittadini al riconoscimento delle fake news, investire in strumenti di verifica tecnologica e definire normative chiare sull’uso di tecnologie come i deepfake. L’obiettivo non è solo mitigare i rischi, ma anche promuovere una cultura digitale basata sulla consapevolezza delle caratteristiche del sistema dei media in cui le persone sono ormai immerse” – ha concluso Epifani.
Fake News: una minaccia trasversale, ma più percepita nei grandi centri urbani
Dal Rapporto Informazione tra AI, Fake News, Deep Fake emerge che il 76% degli italiani considera le fake news una seria minaccia per la società. In risposta, il 27% degli intervistati afferma di verificare “sempre” l’attendibilità delle fonti, mentre il 49% lo fa “abbastanza spesso”. Tuttavia, resta significativo il dato di chi non presta attenzione alla verifica: quasi un italiano su quattro (24%) ammette di controllare poco o per nulla le informazioni reperite online.
Dal punto di vista geografico, emergono differenze significative tra grandi e piccoli centri:
- Nei grandi centri, il 36% degli intervistati dichiara di verificare costantemente le informazioni, con una quota relativamente bassa (18%) di chi lo fa raramente o mai. Questo comportamento può essere ricondotto a una maggiore esposizione alle dinamiche digitali e alle campagne di sensibilizzazione.
- Nei piccoli centri, invece, solo il 17% verifica “sempre” le fonti, mentre il 31% controlla raramente o mai, evidenziando un divario culturale e informativo tra contesti urbani e periferici.
Anche la percezione delle capacità personali di riconoscere le fake news rivela interessanti discrepanze: il 33% degli intervistati ritiene di essere poco o per nulla capace, mentre solo il 16% si sente “molto capace”.
Quando si tratta di valutare le competenze degli altri, invece, prevale il pessimismo. Nei grandi centri, infatti, la percezione di incapacità altrui raggiunge il 59%, mentre nei piccoli centri si attesta al 43%, riflettendo una maggiore fiducia relativa.
Questi dati suggeriscono un effetto di “illusione di superiorità”, dove gli intervistati giudicano le proprie capacità più favorevolmente rispetto a quelle altrui. Nei piccoli centri, questa illusione si amplifica, mentre nei grandi centri prevale un atteggiamento più realistico, dettato da una maggiore esposizione alla complessità delle dinamiche digitali.
AI, Deepfake e percezione del rischio: tra consapevolezza e vulnerabilità
I dati della Ricerca mettono in luce un quadro complesso e articolato sulla capacità di riconoscere i deepfake e la percezione del rischio associato a questa tecnologia. Deepfake, ovvero video falsi generati dall’intelligenza artificiale, rappresentano una sfida crescente per individui e società, alimentando preoccupazioni sul loro impatto su democrazia e informazione. Di seguito i dati più interessanti:
- Il 73% del campione ritiene che i deepfake rappresentino un rischio per la democrazia, con differenze rilevanti tra contesti urbani e rurali. Nei grandi centri, il 30% percepisce il fenomeno come “molto rischioso”, contro il 16% dei piccoli centri. Questo divario riflette una maggiore esposizione al problema nelle aree urbane, dove campagne di sensibilizzazione e accesso a informazioni più dettagliate sembrano avere un impatto significativo
- il 40% degli intervistati si considera poco o per nulla capace di identificare un deepfake, ma questa percentuale cresce al 50% quando si tratta di giudicare le capacità collettive.
- nei grandi centri urbani il 59% ritiene che la collettività sia incapace di riconoscere un deepfake, contro il 41% che valuta negativamente le proprie capacità. Nei piccoli centri, invece, la discrepanza è meno evidente, con un 42% di giudizi negativi personali e un 50% riferito agli altri. Questa differenza potrebbe indicare una maggiore omogeneità di giudizio nei contesti meno urbanizzati.
- tra il 9% e il 13%, dichiara di avere una fiducia elevata nelle proprie capacità di identificare un deepfake. Questo dato riflette una consapevolezza diffusa sulla complessità tecnologica dei video falsi, che si presentano sempre più realistici e difficili da individuare.
In generale, i cittadini più digitalizzati e attenti alla sostenibilità si distinguono per una maggiore consapevolezza del problema, con il 34% che considera i deepfake “molto rischiosi”. Al contrario, coloro che utilizzano poco il digitale e che non sono sensibili ai temi della sostenibilità mostrano una maggiore coerenza, con oltre il 50% che ammette di non saper riconoscere un deepfake.
Metodologia d’indagine: l’indagine 2024 ha coinvolto un campione rappresentativo di cittadini italiani di diverse fasce d’età, livelli di istruzione e posizioni sulla sostenibilità. I risultati evidenziano il ruolo centrale delle tecnologie digitali nella trasformazione della mobilità urbana, ma anche alcune ambivalenze significative. Il rapporto è basato sul DiSI™ City, l’indice nato dalla partnership della Fondazione per la Sostenibilità Digitale con l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” per misurare quanto il ruolo della tecnologia come strumento di sostenibilità sia percepito da parte dei cittadini delle 14 Città Metropolitane italiane: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia.
L’elenco dei Partner e delle Università che attualmente fanno parte della Fondazione può essere consultato al seguente link
Per ulteriori informazioni o approfondimenti, visitare il sito: www.sostenibilitadigitale.it
Digital Sustainability IndexTM (DiSI):
Digital Sustainability IndexTM (DiSI) è un indice che misura il livello di consapevolezza dell’utente nell’uso delle tecnologie digitali quali strumenti di sostenibilità. Serve cioè per misurare le correlazioni tra tre elementi dell’individuo: il livello di digitalizzazione, inteso come rapporto tra la propria competenza percepita e quella desumibile da fattori oggettivi; il livello di sostenibilità, inteso come il rapporto tra consapevolezza sul tema nelle sue dimensioni ambientale, economica e sociale ed i conseguenti atteggiamenti e comportamenti; il livello di sostenibilità digitale, inteso come la propensione dell’individuo ad utilizzare consapevolmente le tecnologie digitali come strumenti a supporto della sostenibilità.
Nella costruzione dell’indice si sono considerati quattro profili di popolazione caratterizzati da specifiche attitudini verso il digitale e verso la sostenibilità, che danno luogo a quattro quadranti:
· Sostenibili digitali: ossia coloro i quali hanno atteggiamento e comportamenti orientati alla sostenibilità ed usano gli strumenti digitali;
· Sostenibili analogici: ossia coloro i quali hanno atteggiamento e comportamenti orientati alla sostenibilità ma non usano gli strumenti digitali;
· Insostenibili digitali: ossia coloro i quali hanno atteggiamento e comportamenti non orientati alla sostenibilità, ma usano strumento digitali;
· Insostenibili analogici: ossia coloro i quali hanno atteggiamento e comportamenti non orientati alla sostenibilità, né usano strumento digitali.
Digital Sustainability IndexTM (DiSI) è un marchio registrato della Fondazione per la Sostenibilità Digitale.
Informazioni su Fondazione per la Sostenibilità Digitale:
La Fondazione per la Sostenibilità Digitale è la prima Fondazione di Ricerca in Italia che analizza le correlazioni tra trasformazione digitale e sostenibilità con l’obiettivo di supportare istituzioni e imprese nella costruzione di un futuro migliore. La sua mission è quella di studiare le dinamiche indotte dalla trasformazione digitale, con particolare riferimento agli impatti sulla sostenibilità ambientale, culturale, sociale ed economica. In quest’ottica la Fondazione sviluppa attività di ricerca, fornisce letture ed interpretazioni della trasformazione digitale, offre indicazioni operative per gli attori coinvolti, intercetta i trend del cambiamento e ne analizza gli impatti rispetto allo sviluppo sostenibile. La Fondazione agisce attraverso una struttura costituita da esperti indipendenti, istituzioni, imprese e università.
Ai soci e partner della Fondazione si affianca la Rete delle Università che costituisce il sistema di competenze al quale fa riferimento la Fondazione per lo sviluppo dei suoi progetti e che rappresenta un esempio virtuoso di collaborazione tra istituzioni ed aziende nello sviluppo di progetti e di attività dedicati alla sostenibilità digitale. Tra le Università che fanno parte della Rete, l’Università Sapienza di Roma, l’Università di Pavia, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Università degli Studi di Cagliari, l’Università degli Studi di Palermo, l’Università degli Studi di Firenze, l’Università degli Studi di Trieste, l’Università di Perugia, L’Università per Stranieri di Perugia, l’Università di Siena, l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, l’Università degli Studi di Torino, l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, l’Università degli Studi di Sassari.
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