Un’idea folle, forse, in un’epoca informatica dove tutto ha una sua manifestazione virtuale. Gli stessi social network nascondono paradossi o personalità virtuali. Ci sono false personalità del tutto inventate, cloni e personaggi fantomatici. Molti profili sono ancora esistenti anche per coloro che non ci sono più. A breve, molti profili – non movimentati – verranno chiusi (almeno su Facebook). Perché allora non creare la vita virtuale, o meglio, perché non far continuare a vivere – attraverso un cloud, chi se ne va? Dare una vita digitale è una scelta di Google per alimentare il bisogno del “noi assente”. Colmare un vuoto attraverso una personalità che si è andata creando, immagazzinando i dati di una vita. Oltre alle immagini, alle registrazioni, ai video, c’è un software che impara, dalle abitudini comportamentali ad essere chi si vuole clonare virtualmente. Praticamente verrebbe fatto un back-up alla nostra memoria e alle emozioni. I dati rielaborati e impostati, dovrebbero essere in grado di rispondere a certe sollecitazioni e manifestare, attraverso una vera e propria “i”, ciò che siamo o dovremmo continuare ad essere. Il trasferimento della coscienza dell’uomo in una macchina.
Si tratta di un vero e proprio prototipo robotico che Google sta approntando per lasciare che ciò che siamo in vita, possa continuare ad avere una sua manifestazione, anche dopo la morte.
“Anni fa c’era un cartone animato, Goldrake, in cui il protagonista conversava con la personalità registrata del padre ormai morto. Una vera e propria banca dati che si attivava secondo le esigenze e le situazioni. Si erano studiate tutte le possibili varianti e le innumerevoli registrazioni erano in grado di rispondere alle diverse esigenze. Si trattava di fantasia e cartoni animati“. Ora stanno provando a farlo sul serio. Eticamente la trovo, da un lato una cosa che “non poteva non accadere”, nel senso che dati tutti gli HD che possediamo, dei nostri figli dalla nascita, dentini, vasetti, bicicletta, comunione ecc. abbiamo migliaia di foto e video che creano di fatto un supporto alla memoria. Una sorta di memoria esterna che ci aiuta a ricordare i momenti più belli. Già ora quando vediamo i film in cui ci sono persone venute a mancare ci sembra di poter rivivere certi momenti.
Se la cosa viene presa come un album dei ricordi mi piace, e mi ripeto, con la tecnologia, sempre in evoluzione, il mercato che ricerca sempre nuovi prodotti, non poteva non accadere di cercare e trovare qualche nuovo gadget. Avere a disposizione qualcuno che non c’è più – per quanto obiettivamente tetro – può avere un senso (io preferisco i film e foto).
Se invece la cosa la si vuole impostare in maniera da farne un qualcosa di diverso, che superi la realtà e vada verso nuovi orizzonti di coscienze costruite al pc, secondo banche dati e input, artificiali, mi inquieta non poco. Creare artificialmente un carattere, una personalità e degli impulsi, non può che portare a destabilizzazioni e interpretazioni erronee degli interlocutori. (Si pensi a persone dalle personalità di basso spessore, oppure bambini che subiscano le influenze di un robot/padre che da consigli e pareri forvianti, semplicemente sbagliati). Non mi piace proprio una prospettiva che indebolisca sempre più i tratti umani e li porti a confrontarsi e non più solo ad essere supportati dalle macchine.
C’è una società con la quale Google starebbe definendo una partneship, Terasem Movement Foundation, fondata nel 2004 dal miliardario transgender Martine Rothblatt con l’obiettivo di promuovere la ricerca nel campo delle nanotecnologie per prolungare la vita oltre al “terreno”! “Human life extension“. La società ha già creato un prototipo di un androide capace di conversare, apprendere e con memoria di quanto impiantatogli: Bina48. è un robot umanoide ad immagine e somiglianza della moglie di Martine Rothblatt! Il robot per ora è dotato solamente una testa ed un busto ma può contare su una straodinaria velocità di calcolo con 48 exabyte di memoria (Bina48 è l’acronimo di “Breakthrough Intelligence via Neural Architecture 48“).
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