Sin dall’invenzione dei computer, è sorto un lungo e ricco dibattito, sia in termini di oggettiva praticabilità sia di principi etici, riguardo all’utilizzo della tecnologia nell’ambito dell’amministrazione della giustizia. In questo contesto dunque, risultano di notevole importanza le due sentenze del Consiglio di Stato, l’organo al vertice della Giustizia Amministrativa, depositate lo scorso 13 dicembre.
Queste decisioni infatti hanno un’immensa portata innovativa, in quanto ammettono per la prima volta nel nostro paese la possibilità di utilizzare algoritmi dettati da specifici software anche nell’espletamento dell’attività discrezionale da parte della Pubblica Amministrazione.
Allo scopo di agevolare la comprensione del significato di questa novità, sarà utile chiarire brevemente la differenza che intercorre tra attività vincolata e attività discrezionale della PA.
Si parla di attività vincolata nel caso in cui la legge individua in maniera univoca ed esaustiva i presupposti al verificarsi dei quali la Pubblica Amministrazione è tenuta all’emanazione dell’atto di propria competenza. Questo atto, inoltre, produrrà effetti anch’essi tassativamente previsti ex ante dalla legge. Nell’esercizio dell’attività vincolata pertanto l’organo amministrativo dovrà soltanto verificare la sussistenza dei presupposti indicati dalla norma per poi, meccanicamente, emettere l’atto o il provvedimento previsto.
Al contrario, nel momento in cui quindi la Pubblica Amministrazione si trovi nelle condizioni di esercitare un’attività discrezionale, l’organi amministrativo avrà a disposizione un’ampia possibilità di apprezzamento e valutazione, sia per quanto riguarda i presupposti che stanno alla base dell’atto, sia per quanto concerne gli effetti dell’atto stesso, in modo tale da poter calibrare, secondo appunto la propria discrezionalità, le misure da adottare in base alle esigenze del caso concreto.
Completata questa differenziazione, risulterà in modo estremamente limpido il valore dell’innovazione stabilita dai giudici del Consiglio di Stato: infatti d’ora in poi gli agenti della Pubblica Amministrazione potranno avvalersi di sistemi informatici nello svolgimento di attività che sembravano eseguibili soltanto dagli esseri umani in quanto solo questi ultimi, a differenza delle macchine, dotati di capacità di ponderazione e discernimento, elementi indispensabili all’esercizio della discrezionalità. Ma ora, con lo sviluppo e l’avanzamento delle potenzialità dei moderni software, i campi in cui l’uomo possa vantare ancora un diritto di esclusiva assoluto ed inattaccabile sono sempre più rari e ristretti.
La ratio sottesa all’introduzione degli algoritmi informatici nelle mansioni devolute alla PA è quella di conformare quanto più possibile l’attività amministrativa al principio di buon andamento sancito dall’articolo 97 della Costituzione italiana. Appare agevole intuire che il supporto di determinati software possa risultare di grande aiuto nel rendere lo svolgimento di alcune funzioni più rapido e più preciso, tuttavia ciò non è inevitabilmente sinonimo di automatica e perfetta risoluzione di tutti i problemi e le difficoltà in cui possono imbattersi i funzionari della Pubblica Amministrazione. Infatti, congiuntamente alla pronuncia con cui è stata ammessa l’innovazione trattata, sono stati anche enunciati alcune regole di uso, per il rispetto delle quali rientra in gioco l’essere umano e le sua possibilità di scelta.
Il Consiglio di Stato ha infatti richiamato tre principi, estrapolati sia dalla materia costituzionale che dal corpo normativo sovranazionale, considerati fondamentali al fine di un utilizzo legittimo dei nuovi strumenti a disposizione della PA.
Innanzitutto abbiamo il principio di conoscibilità, secondo il quale ciascun soggetto ha il diritto di essere informato riguardo allo svolgimento nei suoi confronti di un procedimento amministrativo suscettibile di essere definito (o meglio, parzialmente definito, come vedremo a breve) attraverso l’uso di un algoritmo. Inoltre, informazione non meno importante, l’Amministrazione sarà tenuta a fornire a quello stesso soggetto chiarimenti circa i criteri utilizzati per la scelta dell’algoritmo da applicare. I doveri informativi qui elencati rientrano tutti ovviamente nella macro-area del principio di trasparenza.
Il secondo principio stabilito consiste nel principio di non esclusività dell’algoritmo. In altre parole, il procedimento amministrativo non può essere definito esclusivamente dal software, ma vi deve comunque essere l’intervento di una persona fisica che sia in grado di verificare la regolarità del procedimento stesso e che, a seconda della natura del riscontro, abbia la possibilità di convalidare o rovesciare la decisione “robotica”.
Per ultimo, troviamo il generale principio di non discriminazione, declinato ad hoc per ricondurlo nel contesto in parola. Secondo il CdS infatti, i funzionari della Pubblica Amministrazione si devono impegnare ad adottare misure tecniche e organizzative idonee a tutelare la sicurezza dei dati dei cittadini e ad evitare errori ed inesattezze durante il procedimento digitalizzato, preoccupandosi tra le altre cose di scongiurare esiti comportanti la violazione dei principi di uguaglianza e parità di trattamento.
Soltanto il tempo ci dirà quali effetti questa assoluta novità porterà con sé. Al momento possiamo semplicemente limitarci a notare l’impatto sempre crescente che l’Intelligenza Artificiale sta avendo col passare degli anni, auspicando che l’utilizzo di questi mezzi non ci sfugga di mano, in quanto gli interessi su cui le procedure informatiche esercitano la propria influenza coinvolgono oramai quasi ogni ambito delle nostre vite.
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